Complimenti per la trasmissione

Il boss dei prediciottesimi e quel curioso effetto-Lecciso

Francesco Specchia

Per evitare al massimo l’effetto perturbante (ma non nel senso di E.A. Poe, nel senso di Nino D’Angelo negli anni 80: colate di trash, così, senza avvertire...), uno dovrebbe prima capire cos’è un «prediciottesimo».  Il prediciottesimo equivale all’entrata in società,  al rito dell’elevazione con  carrucola appesi per i capezzoli nella tribù dell’Uomo chiamato cavallo. Trattasi di evento di festa geograficamente collocabile nel sud’Italia che consente ai genitori (che di solito si chiamano Vito, Salvatore, Kevin, Cettina detta Cetty)  di tentare di rendere per un giorno le proprie figlie (che di solito si chiamano Deborah, Desy, Chanel)  principesse alla Julia Robers. Anche se poi l’effetto finale fa molto Loredana Lecciso.    Il boss dei prediciottesimi (La5, mercoledì seconda serata)  sarebbe  Gianni Muscolino, un signore tutto vestito di bianco con codino e sintassi bizzarre che di mestiere organizza book e festoni rionali istruendo una  pattuglia di aiutanti, parrucchieri, sarti e fotografi di matrimoni. Tra i fotografi,  il fulcro è il possente Raimondo, uno specializzato nel confezionare album su bordi di piscine hollywoodiane, tra le stradelle di antichi paesi sullo stretto di Messina, su moto d’acqua, su parapendii e con scalinate di varia foggia per sfondo. Alle ragazzine entusiaste ovviamente accompagnate da madri  sospiranti e compiacenti, Raimondo chiede il sorriso di Beyoncè, il broncio della Marcuzzi, la sensualità di Naomi.  Il tutto finirà in un pregiato video che i parenti della «prediciottesima» sapranno gustarsi tra le decine di sfogliatelle e cannoli che intaseranno i tavoli nella notte della festa, in un locale appositamente affittato, senza badare a spese, mesi prima.  Ho visto la puntata in cui una certa Floriana abbandonata dal padre che vive in Germania, scivolava di set in set cambiandosi d’abito in strada dietro un lenzuolo («Hai fatto caso che quando cambia il vestito, cambia personalità!», fa il boss). E saltando di boutique in boutique riusciva ad indossare scarpe che onestamente ritenevo inesistenti in natura. La festa finale, tra lacrime di gioia e fard sparsi ovunque, mi ha ricordato molto quelle del Boss delle cerimonie di Real Time. La differenza è che lì la regia è limpida e il candore kitsch del boss sembra davvero uscito da un film di Scorsese. In questa brutta copia s’avverte un retrogusto fastidioso, il noioso carico di un rito perduto...