Complimenti per la trasmissione

Virginia Raffaele, il talento visto dal trapezio

Francesco Specchia

Come si diceva una volta di Ava Gardner «per essere perfetta le manca un difetto». Per trovare un difetto alla Virginia Raffaela, possente  one woman show -molto meglio di Ava Gardner- di Facciamo che io ero (giovedì, ora mercoledì Raidue, prime time) bisognerebbe essere spettatori d’inesausta tigna. Perché, onestamente, 3 milioni 296mila spettatori col share del 14.6%, per uno spettacolo sontuoso che in America non riuscirebbe a fare nemmeno Tina Fey -molto meno poliedrica di Virginia- ; be’sono, al contempo, un bel riconoscimento, ma pure il minimo sindacale. Il suddetto show, sulla scia di quello di Mika o di molti luminosi Fiorelli si dipana su elementi rappresentati con -diremmo-  zelo registico. Scenografia stroboscopica molto circense (i rimandi familiari della Raffaele sono frequentissimi); un inizio versione acqua e sapone dondolato sul trapezio e un’escalation di gag con imitazione elabratissime, specie nel trucco; presenze sceniche di ospitoni di varie estrazione (il televisivamente sottovalutato Fabio De Luigi sopra tutti, Garko intervistato da una Donatella Versace versione Deve Letterman sotto tutti ); balletti, cantatine, finanche monologhi sulla paura: «Paura del diverso, del buio, dei ladri, dei parenti, dei traslochi, che l’ascensore precipiti, di finire in un errore giudiziario, di essere investiti da un cinghiale sulla Cassia..». Ogni scena del programma è studiata con una maniacalità quasi commovente. Alcune imitazioni di Virginia  sono esilaranti, come quella della  Mannoia calata dall’alto che insulta Gabbani («C'è un francese, c'è un tedesco e un Gabbani»); o come la Bianca Berlinguer pomposa  zarina di se stessa che si avvita nell’ego e tratta i collaboratori tipo colf senza permesso di soggiorno; o come la Michela Murgia alle prese con Dante. Altre performance sono un po’ ingenue e attingono a sogni da bambina, tipo il ballo con Bolle sulle note di Dirty Dancing.   Altre sono un po’ lunghe. Nel complesso, un varietà molto curato del quale, forse, manca un fil rouge. Ma anche ci fosse, quel fil rouge, Virginia l’userebbe per arrampicarsi sull’ennesimo trapezio, pronta all’ennesimo salto mortale senza rete...