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Il coniugi Regeni da Faziovero servizio pubblico

La forza di quei due e il bisogno di una "scorta mediatica"

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Fazio, Santamaria, i mitici  Regeni Foto: Fazio, Santamaria, i mitici Regeni
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Giulio Regeni era una persona seria con le stigmate del genio - sei lingue, il dottorato ad Oxford-, un sorriso luminoso e uno spiccato senso di giustizia sociale. Un italiano al di sopra della media. Ed è quasi paradossale che, nel giorno del suo ascolto più basso, Fabio Fazio, raccontando la storia del ricercatore ed interrogandone i genitori Claudio e Paola, si sia prodotto davvero in una forma d'impeccabile servizio pubblico (ha ragione il dg Orfeo). Come nello Speciale Falcone e Borsellino, il conduttore ha trasformato il contenitore di Che tempo che fa -Raiuno, domenica prime time- in un ricettacolo di emozioni autentiche e senso di patria. L'ha fatto con piccoli particolari che hanno raccontato senza retorica una morte grottesca. Di cui tutti gli elementi sono stati messi in fila: i braccialetti gialli che identificano una «scorta mediatica»  (promossa da Fnsi e Amnesty) alla famiglia  Regeni che non molla la presa col governo egiziano; e il filmato inedito girato di straforo in cui Giulio non vuole dare i soldi dell'università al sindacato degli ambulanti egiziani, «Non sono soldi miei, ne ho la responsabilità», detto in arabo; e le immagini delle marce, e gli attestati di solidarità. Su tutto si srotolava, in studio, lo  striscione giallo d'un'umanità perduta e ritrovata. E si stagliavano i genitori. Dio, che forza quei due. Dignitosi, composti, immersi nella ricerca della verità. La madre era una maschera di tenera determinazione: ha  spazzando ogni dubbio sull'operato del figlio («quella di Giulio era solo una ricerca di economis politica»).   E ha accusato l'Italia di aver fatto tornare l'ambasciatore al Cairo troppo presto. Poi, con un nodo in gola,  ha parlato della massima  «offesa dello sputo a Giulio, più che del corpo martoriato». Infine ha  chiosato declamando  la sua missione: «Trovare verità e giustizia per lui significa fare sentire sicuri tanti altri giovani come lui in giro per il mondo». Il marito annuiva accanto.  C'erano il pubbico, e  Camilleri, e Santamaria  che applaudivano. L'ho fatto anch'io. È contronatura sopravvivere ai propri figli. Ma questo è sicuramente il modo migliore per farlo. Di ascolti e altre piccolezze, si parla un'altra volta...

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