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La strana Brexit del comico De Carlo

Il nuovo, non indispensabile, programma di Raitre

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Emigrante a Londra Foto: Emigrante a Londra
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«Sono  un comico e in Italia le ho provate tutte...». Questo l'accorato incipit in  Tutta colpa della Brexit (Raitre, giovedì, seconda serata) di Francesco De Carlo, stand up comedian già abbastanza sconosciuto in Italia; il quale decide, con ammirevole piglio, di fare il suo mestiere a Londra. A Londra. Una città che, per capirci, accoglie «suppergiù 300 Comedy Club e 300 comedians...», e dove il suo anonimato rischia di trasformarsi in oblio totale. Tutta colpa della Brexit non è una fiction. Non è neppure una docudrama (non esiste in natura un docudrama su un comico, a meno che tu non sia Buster Keaton...). E non è neanche un vero reality, perché ha  preciso percorso di scrittura. Le avventure del giovine comico che lascia «il sole, il mare, il mio nutrizionista impacchettando la mia precarietà» sono più un'evoluzione del vecchio Turisti per caso, in cui la coppia Blady/Roversi se la godeva a girare il mondo pagata dalla Rai. De Carlo ci trasmette, simpaticamente, la progressione della sua ansia. Arriva a Londra e subito la sua amica «cervello in fuga» se ne torna in Italia (a Milano). Viene arruolato in un localetto scrauso dove è costretto a recitare  il solito pezzo, ogni sera, a gratis. Bighellona in equilibrio sul meridiano di Greenwitch. Osserva le cozze nel Tamigi. Si taglia i capelli da un barbiere che ha votato per la Brexit. Il barbiere gli consiglia un appartamento da 9 milioni di sterline; gli racconta di un comico locale, Mickey Flanagan, certo migliore di «quello sporcaccione di Benny Hill» ; e gli mostra le asperità dell'emigrante: «Ho meno di due anni per fare qui ciò che non riesco a fare nel mio paese, sennò mi cacciano». La morale, sconsolata, per De Carlo è che «nel mio paese sono l'italiano spaventato dagli stranieri, mentre qui sono loro che hanno paura di me. Potrei insegnare xenofobia nell'università di Oxford». Il ragazzo termina la serata in un pub pieno di laburisti, di tizi che storpiano Bandiera rossa e di belle ragazze in fuga. Un programma che fa un labile 3%, senza infamia nè lode, ma con una buona dose di presunzione. Era proprio necessario spendere soldi pubblici per un soffio di narcisismo filoeuropeo...?    

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