Complimenti per la trasmissione

Il Cacciatore, arieccoci con la solita mafia

Francesco Specchia

La scena più romanzata è quella del superboss Leoluca Bagarella in occhialoni anni 90 che cerca, accorato, in un negozio del centro di Palermo, “i greatest hits di Spagna”; e non li trova (“escono tra una settimana”, ciancica la commessa); e ne esce, deluso, infilandosi in una Fiat Tipo color grigio topo. La scena meno credibile è quando il magistrato protagonista Saverio Barone, riesce a far disseppellire una scatola di dollari al pentito Salvatore Cangemi infilandogli in testa una giacca e facendolo passeggiare, al buio, nei ricordi. La scena più efferata sta nella tortura in stile nazistoide di un pentito ridotto a quarto di bue dissossato (senza che si veda la tortura); mentre il più rozzo dei carnefici, Giovanni Brusca “detto U’ Verru, 200 omicidi”, si prepara col distacco d’un macellaio, a sciogliere nell’acido il figlio di un altro “infame”, Di Matteo, dopo averlo strozzato a mani nude. Tra questi tre fotogrammi de “Il cacciatore” si dipanano le prime due puntate della nuova fiction di Raidue, tratta dalla semi-autobiografia del magistrato Alfonso Sabella, ex pool antimafia. Oggi Sabella ce lo ricordiamo per la non eccelsa prova di assessore alla legalità del Comune di Roma nell’era Marino; ma fu l’uomo che contribuì, a cavallo delle stragi di Capaci e via D’Amelio, a scardinare il legato mafioso di Totò Riina. Pm del pool antimafia (arruolato qui dopo aver denunciato il suo Procuratore Capo e immediatamente battezzato “Caganidu”, l’ultimo uccellino del nido) qui vede incrociare le proprie ambizioni di carriera col destino del superlatitante Bagarella. Il quale è rappresentato –e qui sta il neo narrativo- quasi con l’aura dell’antieroe, risoluto, amante appassionato della moglie, tenace custode di amicizie per quanto orribili, fan sfegatato appunto della cantante Spagna la cui discografia punteggia le omertà e gli ammazzamenti della storia. Molti i flashback del magistrato che scopre la violenza da ragazzino, tra i boschi siculi, nelle efferate cacce al cinghiale. Il resto del personaggio –interpretato, bene, da Francesco Montanari, lascia intravvedere uno stronzo con ampie probabilità di redenzione. Regia veloce e ben curata per 12 episodi, ma se mi chiedete dove sta la novità in quest’ennesimo pippone mafia-movie, be' faccio l’omertoso….