Complimenti per la trasmissione

L'effetto "Ispettore Barnaby"

Francesco Specchia

Dicesi, tra gli addetti ai lavori della tv, «effetto Ispettore Barnaby» la stupefacente circostanza in cui un programma seriale, di serie B, ai limiti della monotonia, che costa come un pacchetto di sigarette, riesce senza un apparente motivo a macinare ascolti impensabili e salvarti il sabato sera. Con L’ispettore Barnaby (sabato, prime time, appunto)  La7 ci ha campato per anni. Lo stesso Urbano Cairo, ipnotizzato da questa serie il cui episodio precedente pare invariabilmente uguale al successivo, ha rivelato che le repliche delle repliche dell’Ispettore, specie in questo periodo, continuano a salire di ascolto. La qual cosa è, oggettivamente, inspiegabile. Naturalmente c’entrano le ansiolitiche ambientazioni nella verde contea immaginaria di Midsomer, una location fatta di boschi e animali, che declina dall’Oxfordshire al Surrey. E, naturalmente, c’entrano le indagini lente,  la recitazione teatrale e lo humour quasi sottotraccia del due protagonisti che si sono succeduti nel ruolo del deduttivo Ispettore: prima John Nettles nel ruolo di Tom Barnaby, poi Neil Dudgeon, il cugino più giovane con lo stesso cognome. Infine, forse, c’entrano i gesti lenti, il perbenismo da the delle cinque dietro al quale si celano delitti impensabili per la provincia inglese (gli unico competitors sono quelli di Padre Brown), che è un po’ quello che da noi accade nell’Umbria di Don Matteo. L’Ispettore Barnaby mi ricorda un po’ la mia infanzia infelice con l’ispettore Derrick. Il quale, essendo quadrato, teutonico e senz’orpelli mi veniva imposto da mio padre, mentre io impazzivo per Ellery Queen e il Tenente Colombo. Cairo, d’accordo col suo direttore Andrea Salerno, ha di fatto prennunciato la dipartita di Barnaby a vantaggio di nuovi progetti con Myrta Merlino o Massimo Giletti. Una sfida -dico sul serio- che ha a che vedere con la magia...