Complimenti per la trasmissione

Quando Rocky Balboa sconfisse il comunismo

Francesco Specchia

“Il problema fondamentale del comunismo è che non aveva una buona dinamica narrativa. I suoi film sono corali ma non hanno eroi, come nel caso della corazzata Potemkin, il cui unico individuo era il neonato in culla che ruzzola dalla scalinata, se ci pensate…”. Nell’analisi spietata del crollo -sociale più che edilizio- del Muro di Berlino e della cinematografia sovietica in blocco, così lo scrittore Tom Shone racconta la potenza taumaturgica dei film di Rocky Balboa. Punteggiando il per certi versi fascinoso documentario “Rocky, l’Atomica di Reagan” di Dimitri Kourtchine (Rai5, mercoledì prime time) Shone rivela che l’allora presidente Usa utilizzò -a margine e fuori microfono di una drammatica conferenza- il film Rocky IV come grimaldello contro le politiche industriali ed economiche di Mosca. E avvenne, in effetti, il miracolo: code moscovite nei “saloni video”, una sorta di cinema clandestini laddove nei cinema ufficiali i film americani erano banditi; impennate nelle vendite di videoregistratori (“Acquistare una cassetta di Rocky equivaleva a farsi quattro anni di galera, ma si rischiava…”); la potenza di un eroe occidentale con i guantoni che scardinava tutte le mitologie bolsceviche di partito. Nel documentario ho rivissuto momenti luminosi della mia adolescenza: Rocky con il suo sguardo da pesce che prima perde e poi si riscatta massacrando il gigante Ivan Drago (“Io ti spiezzo in due”), le critiche spietate a un film “da deficienti” e il conseguente successo mondiale di pubblico; e ancora, Sly in smoking che dopo essere stato giudicato il peggior attore regista di sempre (e un po’ era vero) ritira un Oscar e dal palco “era come se Stallone facesse il dito medio ai suoi detrattori”. Negli anni 70 si pensava che non ci fosse nulla di più atomico di Clint Eastwood, ma poi è arrivato Stallone, che con Rambo e Rocky ha fornito una scala di sacri valori a un pubblico affamato di eroi, appunto. Da lì alcune scene divertenti. Per esempio quella col culturista Franco Colombu, il sobillatore muscolare dell’attore, in cui Sly, per allenarsi, solleva i bilancieri e li fa volare dalla finestra in giardino. Eppoi ecco le tremende parodie del regista finnico Aki Kaurismaki in cui un boxeur russo dalle sopracciglia giganti, gonfio di grasso e steroidi prende a mazzate il suo avversario statunitense. Due ore di goduria in cui un pugile ha spiegato l’America più di un trattato di sociologia…