Complimenti per la trasmissione

Baglioni sfrattato da Sanremo causa profughi

Francesco Specchia

Le parole sono pietre rotolanti, sbuffi d’ira politica, avvisaglie d’apocalisse, al Festival di Sanremo. Il refrain è il solito: per strombazzare il più grande spettacolo d’Italia, la polemica è d’uopo e tocca attizzarla sempre un po’ prima. Sicchè, se Claudio Baglioni direttore artistico del Festival, richiesto di un parere sul carico di migranti stranieri fermi al largo di Malta, sforna un giudizio legittimo e scontatissimo sull’accoglienza (“aprite i porti”, nella sostanza); be’ ecco che subito i colleghi de La Stampa intercettano un controparere sibilato del direttore di Raiuno Teresa De Santis, su Baglioni: “Non farà più il Festival se ci sono io”. L’avviso di un licenziamento preventivo di un conduttore sanremese prescindendo dai risultati, a mia memoria non avveniva dal 2007. Cioè da quando il collega Luca Dondoni, sempre de La Stampa, acquattato in una caffetteria, rivelò che l’allora direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce s’ingegnava per far fuori Pippo Baudo per far posto a Paolo Bonolis. Non è una novità neanche questa, insomma. Certo, qui, oggi, la questione s’intreccia e s’incaglia nella rete delle convenienze elettorali, nel braccio di ferro governativo tra Matteo Salvini fermo come una stalattite sulla linea dura anti-sbarchi (proprio su queste colonne Pietro Senaldi ha spiegato che, al di là dell’impuntatura ideologica, la chiusura dei porti ci ha fatto risparmiare 1 miliardo di euro: l’autentica spending review) da un lato, e Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, invasi da respiri di solidarietà e d’accoglienza dall’altro. E, tra gli analisti politici, c’è pure chi suggerisce che sulla linea degli sbarchi – solo 15 migranti da accogliere in un gesto di solidarietà internazionale- potrebbe ridiscutersi perfino il reddito di cittadinanza, l’essenza stessa dell’esistenza politica del M5S, nonchè la possibilità di una rottura tra Lega e Movimento, cui potrebbe seguire un ribaltone di numeri e di governo con Salvini pronto ad arrampicarsi su Palazzo Chigi. E’ comprensibile che, dietro a un bailamme del genere, l’inquietudine delle diversamente leghista Teresa De Santis, ex giornalista del Manifesto, ex dalemiana e ora salviniana, possa mutarsi in stizza verso le tendenze terzomondiste di Baglioni, direttore artistico che peraltro -dicono- la stessa Teresa non avrebbe mai arruolato, se non se lo fosse trovato all’Ariston a contratto già siglato. Ed era prevedibile pure che i social, in queste ore, implodessero nella polemica pro e contro Baglioni. Gli esempi, tanto per dare un’idea, variano da «Baglioni c’hai rotto i coglioni!!! Prendili a casa tua i 49 ragazzotti» a «Baglioni ha il diritto di dire la sua anche se presenta il Festival di Sanremo», fino al post del sindaco di Lampedusa Totò Martello il quale sostiene il cantante nella di lui lotta a favore dell’accoglienza nell’isola sicula. Ora, non vorrei disilludere la dottoressa De Santis. Ma è stata, diciamo, troppo assertiva. Dà troppo per scontato il senso unico della storia. Con i chiari di luna politici che tirano, potrebbe essere benissimo che Baglioni se vada e ne prenda il posto – chessò- Carlo Conti, rimanendo la De Santis. O che cada il governo, Salvini diventi premier e il Festival lo conduca la De Santis. O che trombino la De Santis e al suo posto a Raiuno vada Baglioni. O che il Festival, inglobato nell’Internazionale sovranista, lo conduca Jaroslaw Kaczinsky il leader nazionalista polacco intenzionato a fermare non solo i cantanti stranieri come voleva Baglioni, ma anche quelli italiani sostituiti all’ultimo con il coro della Compagnia popolare di Varsavia. Come diceva una vecchia fiction di Raiuno, tutto può succedere. Figuriamoci a Sanremo dove la realtà passeggia eternamente a braccetto con la fantasia…