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Scamarcio lo spietato, storia di un killer esilarante

Milano anni 90 e poliziotteschi su Netflix

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Scamarcio e compagni Foto: Scamarcio e compagni
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Il buon Riccardo Scamarcio che parla milanese con un retrogusto sintattico di calabro (“Ue', pirla, vada via il cul, guardami la bambina” riferito a un meccanico col vizio delle ‘n drine, che deve curargli una Ferrari rombante, minchia”) è un inedito, una deviazione del karma, un evento che sovverte l'ordine naturale delle cose.  Eppure accade. Accade in Lo Spietato diretto da Renato De Maria, film di produzione Netflix che possiede solida struttura narrativa tra la commedia e il poliziottesco anni '70, calibrato su un ritmo in stile Romanzo criminale e denso di “scrittura” ispirato al libro Manager Calibro 9di Pietro Colaprico e Luca Fazzo. Impossibile non guardarlo in questi giorni, dato che Scarmarcio col suo faccione da Jean Gabin pugliese lo presenta in tv dappertutto, a qualunque ora e in qualsiasi posizione. Lo Spietato racconta la storia della vita di Saverio Morabito della ‘ndrina Morabito attiva nel Nord Italia. Morabito si chiama Santo Russo, calabrese di umili origini emigrato in gioventù a Milano insieme alla famiglia. A Milano, dal 1967 fino al 2002, Santo ascende ai vertici del mondo del crimine tra bar di provincia e salotti borghesi, in un percorso fatto di entrate e di uscite dal carcere; di un arresto avvenuto durante il proprio matrimonio; di rapine vestito da carabiniere; di adulteri con snobissime artiste francesi alla faccia di un matrimonio con una paesana timorata di Dio; e di ammazzamenti di varia foggia: in auto, nelle piscine, nelle campagne. C'è, qui, la media di un morto ammazzato ogni dieci minuti, roba che neanche in un fumetto di Tex Willer; ma l'ironia accecante rende il tutto una grande giostra di colpi di scena e copioni tonanti. Basta, da sola, la scena del tossico affittato ad ore per provare l'eroina neanche fosse l'uomo Del Monte per le banane del vecchio spot, per capire che lo sceneggiatore s'è divertito come un pazzo. Tra colonne sonore disco anni 80 e il fondale rosso sangue della Milano dei sequestri, di Liggio e Francis Turatello Lo Spietato finisce con il protagonista che, paraculissimo, per salvare la cotenna, diventa pentito di mafia. Mentre Netflix, per una volta, non si pente di aver prodotto un film italiano…  

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