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La Rai onora Zavattini (come ci manca il diavolone padano)

Grande servizio pubblico per un grande scrittore

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Un genio eclettico Foto: Un genio eclettico
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Ma davvero non esiste un mondo in cui “buongiorno voglia dire davvero buongiorno?” . L'illusione sull'intima bontà dell'uomo - la stessa di Anna Frank- espressa da Cesare Zavattini in Miracolo a Milano e ricordata da lui, in ogni intervista, con voce di tuono, mi accompagna da quasi un quarto di secolo. Esattamente dal'95, da quando, giovane cronista, conobbi il mito gentile di Cesare Zavattini in una storica mostra alla Pilotta di Parma, Una vita Za' che ne raccontava proprio ai giovani la multiforme attività di scrittore, critico, giornalista, illustratore, pittore, sceneggiatore, poeta. Oggi, a trent'anni dalla morte, è sacrosanto che l'Italia ne celebri l'opera. La stessa Rai lo ha omaggiato col programma- documentario “Mondo Za. I luoghi di Cesare Zavattini” andato in onda in prima visione domenica 13 ottobre alle 22.40 su Rai Storia. Zavattini in arte Za', fu probabilmente, con Leo Longanesi, il più grande genio poligrafico ed intellettuale (intellettuale ovviamente a sua insaputa) multitasking del 900. Ma tra i due c'erano differenze essenziali. Tanto Longanesi, il “carciofino sott'odio” si erigeva a baluardo e pungolo della borghesia, tanto Za', il diavolone padano, inondava d'ottimismo il popolo. S'ispirava all'uomo comune alle prese con un “banale che non esiste: basta scavare in ogni piccolo fatto e diventa una miniera”, diceva inaugurando quello che oggi chiameremmo, in senso buono appunto, il populismo letterario. Zavattini mi piaceva perché usava racconti brevi, parole semplici e storie illuminate da un'ironia tipica della bassa del Po; era una specie di Mark Twain che s'aggirava tra Luzzara, Parma e Reggio Emilia, con qualche capatina a Roma dove, en passant, s'incontrava con Vittorio De Sica per inventare il cinema neorealista (“Noi due siamo come il cappuccino, che non si sa il latte qual è, e qual è il caffè, ma c'è il cappuccino”). Ma il suo vero mondo era piccolo almeno quanto quello di Guareschi. Ciononostante era in grado, per la Gazzetta di Parma e Cinema e Illustrazione, di compiere voli immaginari in America, inventandosi attraverso le sue Cronache da Hollywood, corrispondenze straordinarie e e firmate nei modi più assurdi (Jules Parme, Louis Sassoon, Kaiser Zha...). E la sua passione per l'arte era d'ispirazione contadina, dal 1941 prese a collezionare miniquadri 8X10 cm; “ A tutti i pittori ho chiesto l'autoritratto, così ho anche gli autoritratti di quasi tutti i pittori italiani nelle dimensioni suddette”, diceva. E per anni lo circondarono i volti di: Fontana, Burri, Balla, De Chirico, Savinio, Capogrossi, Severini, Rosai, Casorati, Sironi, Mafai, Soffici, De Pisis, Campigli, Afro, Consagra, Depero, Guttuso, Sassu, Dorazi. La collezione si disperse causa debiti, salvo poi riapparire alla Pinacoteca di Brera nel 2008. Da ragazzino, inoltre, ho amato Zavattini pur conoscendolo solo come soggettista di fumetti: il suo Saturno contro la guerra, pubblicato su Topolino nel '36, metteva la fantascienza italiana sullo stesso piano di Flash Gordon; e La grande avventura di Marco Za (suo figlio) del '49 fu uno dei migliori apologhi sulla Liberazione. Entrambi vennero tradotti in inglese. Questo per dire l'eclettismo dell'uomo. Di Za', giustamente, oggi si ricorda la vena neorealista: le novelle di Parliamo tanto di me; la storia di un misero travet in I poveri sono matti; gli oltre quaranta racconti “minimi”, surreali e simbolici, di Io sono il diavolo. E Miracolo a Milano, e Totò il buono, sul bambino nato sotto un cavolo che salva i poveri “baracchesi”. Ma leggendo il Ritratto di Cesare Zavattini scrittore di Gualtiero De Santi (Imprimatur) si intravede in lui quasi una ricerca spirituale che odora di Vangelo: «Scrivere vuol dire raccontare storie di uomini nel loro travaglio spirituale — il resto non conta — o sarei disposto perfino a misconoscere l'arte se questa fosse solamente un gioco, per mirabile che sia», sosteneva Za' con la solita drammaturgia. C'è un episodio che me lo rese straordinariamente affine. Nel '74 invitato alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro Za' venne attaccato da un gruppo di giovani intellettuali comunisti che gli diedero del “sentimentale socialdemocratico”, e se ne andò tra i fischi augurando a tutti “Buongiorno”. Il suo “buongiorno”, quello che davvero suggerisce anche al tuo avversario di passare una buona giornata, perché ne arriveranno sempre di buie. Ma con un sottotesto: questi stronzi passeranno e io rimarrò…    

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