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Se la Rai con Fiorello si mette in (ottima) concorrenza con Netflix

Strategie digitali a Viale Mazzini

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Non ci voleva un genio, anche solo per pensare di valorizzare gli immensi archivi della Rai, le miniere di Re Salomone del servizio pubblico, il più grande patrimonio culturale del Paese. Alla fine, tomo tomo cacchio cacchio -come diceva Totò-ce l'ha fatta Fabrizio Salini, ad della tv di Stato, che ha imposto una svolta quasi epocale al concetto di televisione. Ora RaiPlay, “la piattaforma gratuita con contenuti di ogni tipo: film e serie, programmi e documentari, vecchi sceneggiati in bianco e nero e cose per bambini di ogni età”, ha cambiato pelle. Il suo nuovo sottotitolo è “molto più di quanto immagini”, e rende l'idea plastica di una piccola rivoluzione. Non è più solo una sorta di scantinato dei video, di tele di ricambio, di mezzo di fruizione d'emergenza per critici televisivi in ritardo cronico nella visione dei programmi. Gli scantinati Rai diventano, dunque, attici di pregio. Si cambia con Viva RaiPlay! In cui Fiorello immagina i “vertici” di viale Mazzini ora come voci catacombali ora come bambinetti di 10 anni alla ricerca di un pubblico “giovane” per troppo tempo inafferrabile in natura; e con Volevo fare la rockstar prima fiction di reale aspirazione millennial la cui versione sulla rete generalista (Raidue) diventa un'integrazione della cosiddetta “fruizione liquida”, ossia dell'uso attraverso il web del prodotto tv. Da oggi, in Rai, anche è consentito il binge watching, cioè la scorpacciata di puntate di una serie, una dietro l'altra da ingurgitare come le ciliegie (e prima ancora che le stesse puntate siano programmate sul canale generalista). Ed è consentito un approccio molto “stile Netflix” ad ogni tipo di format, specie considerando che, per storia, archivio e mole di ore prodotte la Rai di Netflix ne vale cento, e allo stesso prezzo. L'altro scanalavo su Rai Play, finendo su, nell'ordine: il discorso di Brancaleone alle crociate;  i promessi sposi nella versione Alberto Sordi e in quella del Quartetto Cetra (“Da una lacrima sul Griso/ho capito molte cose…”); lo speciale sui primi anni di carriera di Piero Angela; le avventure di Saturnino Farandola con Mariano Rigillo e Maria Giovanna Elmi, cult della fine dei 70; i reportage di Ruggero Orlando da New York e quelli di Joe Marrazzo dal ventre oscuro della nazione. Contenuti che traboccano professionalità. Bastava interpretarli in una prospettiva digitale. Ci voleva tanto…?

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