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Liliana Segre, i partigiani , la Rsi e la parabola di Anna Frank

Solo alle tv locali la frase della senatrice per la corona di fiori per i morti di Salò che "son o uguali agli altri"

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Liliana Segre Foto: Liliana Segre
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C’è sempre qualcosa di poetico e di maestoso nella ragnatela d’emozioni del volto di Liliana Segre; e nella sua propensione a dare lezioni in qualsiasi momento, circostanza e luogo in cui gli uomini vedono vacillare la propria umanità. L'altro giorno per esempio, è accaduto un fatto che solo i Tg locali liguri hanno rilevato. La senatrice a vita era in visita a Rapallo per ricevere la cittadinanza onoraria. Ad un tratto, una giornalista locale le ha spiegato che l’Anpi della vicina Santa Margherita Ligure era sì soddisfatta del suddetto conferimento alla signora -e ci mancherebbe altro!- ; ma anche che, in un comunicato stampa, la stessa associazione partigiani aveva urlato al sindaco tutto il proprio disprezzo per la corona di fiori offerta dal Comune anche per i caduti della Repubblica Sociale: “Torniamo a chiedere con forza che la stessa Giunta interrompa finalmente lo squallido gesto istituzionale di omaggiare, ogni 4 Novembre, coloro che furono i carnefici…”. Liliana Segre ha ascoltato le doglianze, e ne ha misurato il peso, e ha preso atto dell’ennesima sghemba, furia ideologica dei partigiani. E, con un sorriso mezzo ammainato, ha semplicemente risposto: “I morti sono tutti uguali. Non togliamo le corone a nessuno”. Punto. Fine della polemica. Fine dell’odio. Neanche il tempo di attizzare una di quelle sinistrissime colluttazioni ideologiche tanto care all’Anpi da decenni in crisi d’iscritti e d’identità. Zittiti tutti. Il sindaco locale Bagnasco, che era accanto alla senatrice, in quel momento ha smesso di sudare freddo e, confortato dal pensiero pieno d’umanità della signora, ha sepolto la disumanità di quattro voci illivorite alla ricerca mediatica di un quarto d’ora di celebrità. Liliana Segre possiede un’eleganza di pensiero che è qualcosa d’innaturale. Io adoro quella donna. Dalla sua condizione di superstite all’Olocausto, da simbolo della lotta al nazifascismo, da vittima costretta a vivere (la cosa più incredibilmente ignobile) sotto scorta potrebbe tirarsela all’inverosimile; trinciare giudizi inconfutabili; e cedere alle sirene della politica che -tra l’altro- cerca di tirarla per la giacchetta ogni giorno. C’è gente che, dopotutto, ha fondato un partito o è diventata presidente della Repubblica per molto meno. Eppure, Liliana, a 90 anni, crede ancora -come diceva Anna Frank- “all’intima bontà dell’uomo”. E nonostante l’esperienza nei campi di sterminio, dopo essere sopravvissuta con altri 24 bambini sui 776 bimbi italiani, ancora preferisce seppellire qualsiasi accenno di risentimento e vendetta sotto la coltre della storia e del perdono. Per dire: non ha mai voluto sapere neanche il nome dello zelante gendarme svizzero che impedì nel settembre 1943 a lei, al padre e agli zii di mettersi in salvo oltreconfine. Non c’era bisogno, quel che è stato è stato. E quando Liliana propose in Senato la famosa Commissione contro l’odio razziale, e mentre metà arco costituzionale -forse non a torto- si schierò contro il centrodestra e in particolare Salvini che non voleva quell’istituzione; be’ soltanto lei, nella solita tempesta d’odio tra opposti rami del Parlamento, fu l’unica ad accettare il dialogo col leader leghista. Voleva parlare, Liliana, cercare banalmente di capire l’altro punto di vista. Poi ci fu la proposta di Lucia Annunziata, recepita con astuzia da Nicola Zingaretti, di farla Presidente della Repubblica; e lei -nonostante non fosse una cattiva idea- diniegò pudicamente. Dopodiché ecco la geniale intuizione di marketing del sindaco Dem Matteo Ricci affinché l’Italia ne proponesse la candidatura per il Nobel per la Pace: e Liliana lì un po’ si spazientì: “Bisogna dare i premi Nobel a chi li merita veramente, non a una cittadina molto più semplice come sono io. Lasciamo i Nobel ai Nobel”. Preferì ritirare il Premio Tartufo dell’anno 2019, il massimo tributo delle Langhe alle personalità illustri. Spazzò via col tartufo la retorica di tutti i tartufi. L’avrei baciata. Senz’altro uno degli atti migliori del Presidente Mattarella è stato nominare senatore a vita questo giunco d’acciaio, questa signora dai capelli candidi e dall’austera allegria, abituata sin da piccola a trasformare i dolori in sorrisi. Avercene, come Liliana Segre…

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