Complimenti per la trasmissione

I Legnanesi su Rete4il trionfo dei lumbard

Francesco Specchia

La magia salariale della tredicesima a Milano, il canto dell’italiano medio dal profondo nordovest, i pover Crist aggrappati ad un futuro migliore nella Lombardia che odora di sudore, risotto e grano trebbiato di fresco. C’è qualcosa di strabiliante nel fatto che i suddetti argomenti, narrati da I Legnanesi, la compagnia dialettale ambrosiana per eccellenza, abbiano fatto registrare, in un paio di commedie teatrali riprese da Rete 4, ascolti da media nazionale a costi che la Rai paga per dieci minuti del Festival di Sanremo. Con un’intuizione che all’inizio pareva quella di un filosofo impazzito, Sebastiano Lombardi il direttore della rete del Biscione, ha mandato in onda due spettacoli dei Legnanesi: Non è Natale senza panettone (versione tv movie) accogliendo ben 1.236.000 spettatori col 5,9% di share a Santo Stefano e La scala è mobile, show teatrale registrato cinque anni fa a Capodanno, 5,3% di share con un’altra milionata di spettatori. Trattasi di un ascolto medio superiore a molti talk show di prima serata. Solo che i Legnanesi sono molto più divertenti di un talk show. Le loro trame sono molto -diciamo- neorealiste: il Natale che porta in regalo la tredicesima tra sogni di corsari e filibuste e una serenità familiare perduta e ritrovata; lo sfratto doloroso dal cortile con i camei di Gigi D'Alessio, Evaristo Beccalossi, Emanuela Folliero, Gianluigi Nuzzi, Andrea Pucci; la giostra dei rapporti familiari consumati tra battute in vernacolo e le anguste mura di un drappello di povericristi sopravvissuti con tenacia, sorrisi e miracoli quotidiani a guerre, carestie, immigrazioni d’ogni tipo e al passaggio dall’Italia rurale a quella industriale. Roba semplice, da teatro rionale, in teoria. Eppure, l’effetto sulla tv generalista nazionalpopolare è stato un fulmine nel cielo dei palinsesti. Chiamatelo federalismo del teatro nazionalpopolare o sovranismo delle anime belle; fate conto che Eduardo De Filippo sia trasferito, con i suoi gracili eroi, sotto la Madunina. Ma, insomma, c’è un profondo significato sociale e politico nel trionfo delle “maschere lombarde” della Teresa e della Mabilia (presenti sin dalla prima rappresentazione), che insieme a Giovanni compongono la strampalata famiglia nata nel 1949 all’oratorio di Legnarello a Legnano, sana provincia milanese, su idea di Felice Musazzi. Ed il significato è che, oltre ai  comici e alle grandi scuole attoriali siciliane, napoletane e romane, anche la commedia lombarda, ora, fa la sua porca figura. Bastava soltanto farla conoscere. I Legnanesi sono un piccolo mito a consumo di massa. In realtà le loro scalcinate pieces (da Pover crist superstar a Regna la rogna, da Fam Füm Frec a Sem nasü par patì... e patèm, siamo nati per soffrire, a Lasciate che i pendolari vengano a me) hanno affascinato estimatori insospettabili: il lombardo Arbasino, il pescarese Flaiano, il pugliese Carmelo Bene fino al siculo Pietrangelo Buttafuoco. Vantano una volgarità inesistente e una politica identitaria potente e stralunata. Mai avrei immaginato che sarebbero diventati l’afrodisiaco della tv nazionale….