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L'ultimo fallimento di Obama: addio al "triplete" della pace

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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A Obama non e' riuscito il “triplete”. Voleva fare la “pace” formale con l'Iran, Cuba e la Corea del Nord, ma si e' dovuto (per ora) fermare a due: 1) l'accordo con il governo islamista di Teheran, a cui ha tolto le sanzioni e dato il via libera (entro qualche anno) alle armi nucleari, e 2) la stretta di mano con i fratelli Castro, ai quali ha regalato una piena legittimita' internazionale dopo oltre mezzo secolo di dittatura in cambio di una foto – lui insieme a Fidel e Raul - tra un mese all'Havana. Con il regime di Pyongyang, che ospita ancora i gulag e sta in piedi grazie all'aiuto economico cinese, gli e' andata buca. C'e' da trasformare in pace solenne l'attuale armistizio tra i due paesi che aveva messo fine 63 anni fa al conflitto armato coreano tra Nord rosso e Sud libero e filo-occidentale, e Barack vorrebbe tanto firmare un'altra brutta pagina di storia: la normalizzazione con Kim Jong Un, offrendo anche al pazzoide leader stalinista una stretta di mano da mettere nello stesso libro di figurine del suo album dell'appeasement. Per questo obiettivo, Obama aveva intavolato segreti colloqui con il partito comunista nord-coerano, accettando la richiesta di colloqui di pace che era stata fatta da Pyongyang subito dopo che l'Iran aveva ottenuto la cancellazione delle sanzioni economiche. Evidentemente i nordcoreani pensavano che fosse arrivato il loro turno. E, in effetti, la reazione di Obama era stata incoraggiante, per i nordcoreani: gli Usa avevano infatti accettato di far cadere la precondizione che avevano posto tutti i precedenti presidenti americani, che consiste nella rinuncia del Nord Corea al proprio programma nucleare prima di sedersi al tavolo che deve portare alla firma della pace. Invece che una premessa alla trattativa, il congelamento e lo smantellamento del piano atomico nordcoreano sarebbe stato, aveva concesso Obama, uno dei punti da discutere. Il presidente voleva cioe' un bis della trattativa con l'Iran, puntando alla stessa conclusione ambigua e pasticciata: se a Teheran aveva dato i 100 miliardi di dollari bloccati dalle sanzioni, e in cambio aveva permesso in sostanza all'Iran di continuare a farsi la bomba, solo ad una velocita' ridotta, alla Corea del Nord pensava di offrire la pace solenne, con i benefici del rientro del paese nel circuito della diplomazia, come contropartita a una denuclearizzazione da definire. Soltanto qualche giorno dopo che la delegazione americana aveva accettato di iniziare i colloqui offrendo il ramoscello d'ulivo dell'addio alla precondizione, pero', Kim Jong Un ha fatto un ennesimo test nucleare. Il Congresso USA ha passato, in risposta, una legge che inasprisce le sanzioni economiche gia' in vigore, e cosi' ha fatto il Giappone. Ma non c'era migliore modo, per Pyongyang, di dire a Barack che ci vuole ben altro per ammansire le pretese nordcoreane, e che il governo stalinista e' convinto che l'avere un arsenale nucleare attivo resti lo strumento piu' efficace per ottenere,alla fine, il trattato di pace. Il Nord Corea vuole anche altro: tanti soldi, e soprattutto una riduzione del numero dei soldati Usa oggi presenti in Sud Corea, che e' anche l'obiettivo strategico di Pechino nella sua rincorsa ad una posizione di forza in Asia. L'intesa storica con Kim Jong Un e' insomma la finale piu' dura per il “triplete” sognato dal Nobel della Pace, ma Barack ha ancora 10 mesi per cercare qualche autogol, mascherato da vittoria, e non rinuncera' fino all'ultimo. di Glauco Maggi

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