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Addio compagno Sanders: cosa manca a Hillary Clinton per asfaltare del tutto il rosso Bernie

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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New York. Per i Democratici i giochi sono fatti. Sabato la Clinton ha umiliato Bernie Sanders in Sud Carolina, con un distacco di quasi 50 punti, lo stesso che c'era nei sondaggi nazionali di sei mesi fa, prima della “rimonta” del vecchio senatore socialista che si e' concretizzata nella sola vittoria in New Hampshire. Hillary lo ha infatti battuto (di poco) nel caucus dello Iowa, ma poi lo ha superato di 5 punti in Nevada, prima del trionfo di ieri. Clinton ha preso il 73,5% dei voti, contro la miseria del 26% di Bernie. Ieri la Clinton ha guadagnato oltre l'80% del favore dei neri, e i suoi fans tirano il fiato. Negli Stati del Sud, dove gli afro-americani sono una fetta consistente dell'elettorato, Hillary non avra' problemi. In Sud Carolina la Clinton ha preso piu' di quanto ebbe lo stesso Obama nel 2008, ma il dato va preso con giudizio: allora il candidato di colore aveva contro il senatore locale John Edwards e la famiglia Clinton, con Bill che e' sempre stato amato dagli afro-americani, mentre adesso Hillary - e Bill - avevano contro solo un vecchio senatore bianco del Nord Est. Cio' che conta di piu', come campana a morte per il socialista, e' che anche tra i bianchi Sanders ha perso, prendendo il 46% dei suffragi contro il 54% della Clinton. Quanto ai delegati per la convention estiva che dara' l'investitura formale, Hillary ne ha ora gia' 544, e Sanders soltanto 85. Il divario, piu' che dai risultati delle due primarie e dei due caucus che si sono gia' tenuti, e' dovuto soprattutto ai “superdelegati” (funzionari di partito, parlamentari locali e personaggi con cariche pubbliche) che non sono obbligati a rispettare l'esito delle elezioni ma possono scegliere il candidato che vogliono. E' un sistema “non democratico”, a dispetto del nome del partito. E' diverso dal meccanismo vigente nel GOP, dove i superdelegati sono molti di meno e vincolati a rappresentare alla convention i vincitori del proprio Stato. La “ratifica informale” della incoronazione di Hillary arrivera' tra due giorni, quando nel Supermartedi' saranno in palio 11 Stati, con 865 delegati, il 66% del totale. I sondaggi sono generalmente a favore della Clinton, che godra' del momentum guadagnato con la performance della Sud Carolina e ha gia' un vantaggio medio di 23 punti su Sanders negli stati meridionali. In sei degli 11 Stati (Alabama, Arkansas, Georgia, Tennessee, Texas e Virginia) gli afro-americani costituiscono una larga percentuale dell'elettorato. Gli altri in palio sono Minnesota, Alaska, Oklahoma, Massachusetts e Vermont. Sanders potrebbe quindi ritrovarsi mercoledi' mattina con la singola vittoria nel suo piccolo Stato del Vermont, l'unico in cui e' il favorito dei sondaggi oggi. Cio' aggiungerebbe una nota patetica alla sua sconfitta nazionale: l'essere il leader di uno Stato con 626mila abitanti in una nazione da 310milioni di popolazione, con un distacco in termini di delegati praticamente incolmabile. Bernie “il rosso” e' apparso comunque pugnace ieri dopo la debacle, e ha promesso che insistera' nella sua ‘rivoluzione politica' anche dopo il Supermartedi'. Per quel che vale, ieri ha incassato l'endorsement (appoggio dichiarato) di Robert Reich, noto economista di estrema sinistra che era stato ministro del lavoro di Bill Clinton. Nel GOP la partita e' sicuramente piu' aperta, malgrado finora il verdetto degli elettori abbia indicato un netto vincitore in Donald Trump. Mentre si aspetta di vedere l'esito del Supermartedi' in Texas, dove il senatore dello Stato Ted Cruz si gioca le ultime chance di sopravvivenza, Marco Rubio sarebbe al centro di un piano, rivelato dal sito Infowars e dal DrudgeReport, che vedrebbe impegnati alcuni potenti finanziatori repubblicani in funzione anti Trump. Secondo quanto ha rivelato uno strategist del GOP, Roger Stone, i fratelli Koch si sarebbero incontrati con altri miliardari vicini al partito conservatore. Il gruppo avrebbe concordato di investire 75 milioni in spot televisivi contro il “collega miliardario” di New York (che si autofinanzia) e di dare 25 milioni direttamente alla campagna del senatore della Florida Rubio. Ma ad una condizione: deve riuscire a vincere la primaria che si terra' nel suo Stato il 15 marzo per andare avanti. Se perdesse anche li', Rubio si dovrebbe ritirare subito e cosi' scatterebbe il “piano B”: far scendere in campo Mitt Romney come “salvatore del GOP”. In realta', sarebbe il tentativo disperato di salvare l'establishment di un partito che oggi ha due anime: quella populista e non ortodossa di Trump (da ieri rafforzata da Chris Christie) e quella rigorosamente conservatrice di Rubio-Cruz-Bush-Kasich, uniti strategicamente anche dopo le dilanianti differenze che hanno segnato la campagna presidenziale fino a questo punto. Il rientro in gara di Romney e' un reale disegno o fantapolitica? Marzo, con le sue 26 primarie, sara' in ogni caso il mese della resa dei conti. Glauco Maggi

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