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La sanatoria di Obama sugli immigrati clandestini: occhio alla sorpresa dei giudici

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Barack Obama Foto: Barack Obama
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La Corte Suprema dara' la maggiore delusione dell'anno in politica interna ad Obama, quando a fine giugno i giudici annunceranno la loro decisione sulla sorte dell'amnistia ai clandestini? E' assai probabile. Malgrado sia scomparso qualche mese fa Antonin Scalia, uno dei giudici conservatori e costituzionalisti che avrebbe bocciato l'ordine esecutivo voluto da Barack come sua ultima vittoria liberal, dai residui otto magistrati potrebbe uscire un verdetto di parita', 4 a 4, e cio' significherebbe comunque una sconfitta per l'amministrazione. Infatti, quando il collegio dei 9 giudici non produce una maggioranza, l'effetto concreto e' che chi ha fatto ricorso alla Corte suprema non ottiene cio' che vuole, ossia l'inversione della decisione della corte di appello di secondo grado. Nella fattispecie, quest'ultima corte aveva deliberato che potesse restare in vigore il provvedimento imposto dal giudice federale di primo grado, che aveva imposto il congelamento della procedura di amnistia che Obama aveva decretato con un suo ordine esecutivo, emesso per dribblare l'iter costituzionale normale che contempla il voto del Congresso per introdurre una nuova legge, o per cancellarne una in vigore. Il primo serio stop giuridico alla manovra del presidente c'era stato il 17 febbraio dell'anno scorso, quando un giudice federale di Distretto del Texas, Andrew Hanen, aveva bloccato temporaneamente l'ordine esecutivo di qualche mese prima, rilasciato dopo la batosta elettorale democratica del novembre 2014, con cui Obama aveva garantito l'amnistia a circa 5 milioni di irregolari. Il blocco delle deportazioni degli irregolari (in pratica tutti i familiari irregolari di bambini nati negli Usa e quindi cittadini per jus soli) doveva cominciare ad entrare a regime dopo il 17 febbraio, ma con quel suo verdetto il giudice Hanen aveva dato ragione ai 26 Stati che si erano opposti, garantendo ai governatori il tempo necessario per lo svolgimento della causa che avevano promosso contro il governo. L'obiettivo degli Stati, per lo piu' del Sud e dell'Ovest e guidati da maggioranze locali repubblicane, era di cancellare permanentemente gli effetti generali dell'ordine esecutivo, ma la vittoria ottenuta con la disposizione del giudice federale Hanen era gia' importantissima in quanto congelava la situazione e non permetteva il “fatto compiuto” che voleva Barack. Ossia, cominciare a emettere “permessi provvisori”, il che avrebbe creato una popolazione di “irregolari regolarizzati”. Nel memorandum che accompagnava il verdetto, Hanen aveva spiegato che era giusto che le cause promosse dai 26 Stati potessero seguire il loro corso, perche' senza questa sua ingiunzione di stop preliminare gli Stati “avrebbero sofferto un danno irreparabile” nel procedimento. La causa era stata promossa dall'Attorney General del Texas, per conto del governatore, che aveva sostenuto che l'introduzione dell'amnistia per decreto presidenziale avrebbe comportato milioni di dollari di costi per poter essere implementata, e che quindi lo Stato del Texas avrebbe subito un danno finanziario enorme da quella decisione federale. “Sarebbe impossibile far rientrare il genietto nella bottiglia”, aveva scritto il giudice texano, dichiarando di sposare la tesi degli Stati querelanti. Obama aveva subito fatto ricorso, ma la Corte d'Appello del Quinto Circuito di New Orleans aveva dato ragione al giudice di primo grado Hanen. A questo punto non restava a Barack che fare ricorso alla Corte Suprema, per avere entro giugno 2016 il verdetto finale, cosi' da avere il tempo materiale per distribuire le 4,5 milioni di “carte verdi”, gia' in stampa al tempo del primo “stop”, prima di lasciare la Casa Bianca. Nella audizione di ieri, in cui i giudici hanno dibattuto la questione con gli avvocati delle due parti prima di ritirarsi per elaborare il verdetto, i quattro giudici di tendenza conservatrice hanno fatto considerazioni critiche sulla legge, il che ha portato i cronisti presenti all'ora abbondante di scambi alla previsione di un pareggio. Ma mentre e' certo che i quattro giudici liberal si schiereranno tutti con l'amministrazione, qualche residua incertezza potrebbe esserci su Anthony Kennedy, che qualche volta gioca il ruolo del giudice “ballerino”, e anche sullo stesso Capo della Corte, John Roberts. Pur nominato da George Bush per il suo pedigree conservatore, Roberts fu il quinto voto, famigerato per i repubblicani, che tenne due volte in vita Obamacare, quando la legge piu' odiata dal GOP era sul punto di essere abolita. Ma stavolta pare che non voglia fare “scherzi”: al Difensore Generale del Governo Donald Verrilli, infatti, ha contestato la profondita' e la logica della legge, di fatto una amnistia”, chiedendo se cio' non “garantisca la deportazione posposta (all'infinito NDR) a ogni straniero illegalmente presente oggi negli Stati Uniti”. Se anche fosse ancora vivo Scalia, in ogni caso, le speranze di vittoria del Texas e degli altri 25 Stati dipenderebbero sempre da Kennedy e da Roberts: se solo uno dei due “tradisse” unendosi ai 4 liberal, Obama avrebbe 5 voti e il via libera per l'amnistia: “5 a 4” o “5 a 3” non fa differenza. Glauco Maggi

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