Effetto Obama

Nell'America che ha paura di essere razzistai criminali jihadisti agiscono indisturbati

Glauco Maggi

La correttezza politica uccide. E’ vero  che a volte può essere anche divertente, come quando spinge il presidente di una nazione seria a chiedere che una squadra di football cambi il suo nome (Redskins, pellerossa) sostenendo che offende i Native Americans, e poi un sondaggio del Washington Post tra i veri indiani in carne e ossa, e pellerossa, scopre che al 90% di loro, tifosi e non del team, non gliene frega niente. Ed è vero che su un piano più alto, di politica vera, può portare ad una pericolosissima cecità: Obama non pronuncia il nome del nemico dichiarato dell’America e dell’Occidente, l’Islam radicale, perché’ altrimenti “si fomenta l’islamofobia”. Che è come non chiamare comuniste le Brigate Rosse altrimenti si offende il marxismo, ideologia di pace e di libertà, e “si fomenta l’anti-comunismo”.  Il risultato della cecità, però, è che quando nasce l’Isis e i suoi militanti tagliagole conquistano pezzi di Siria e Iraq più grandi della Lombardia, Obama li chiama “squadretta di liceo che vuole giocare nel campionato di Al Qaeda”. Con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Poi, ed è a questa versione che alludo quando dico “la correttezza politica uccide”, ci sono i tre casi di Fort Hood, di San Bernardino e di Orlando: accomunati dal sangue versato di decine di innocenti per mano di islamici radicali, ma anche dal fatto che tante vite si potevano forse salvare, e imperdonabilmente non è stato fatto. Se tre indizi sono prova di colpevolezza, sarebbe davvero ora che i cultori della CP si facessero un esame di coscienza.  Il maggiore dell’esercito di origini palestinesi di stanza a Fort Hood Nidal Hasan era uno psichiatra musulmano che non nascondeva l’ostilità verso l’America per il suo impegno in Medio Oriente. Aveva anche una business card con scritto “soldato di Allah”. I suoi superiori diretti erano così terrorizzati dall’idea di censurarlo, che l’hanno promosso anche se incapace. Avessero parlato male di lui  ai propri superiori avrebbero avuto la carriera stroncata per “islamofobia”, perché più si va in alto e più ci si avvicina al comandante in capo, e chi è che ha il coraggio di esporsi a una reprimenda di Barack Hussein? Così, tutti zitti fino a che il maggiore ha fatto la sua bella jihad ammazzando una dozzina di commilitoni.  A San Bernardino,  Syed Rizwan Farook e la moglie armeggiavano apertamente davanti a casa, dentro e fuori dal garage, con pacchi sospetti e compari più sospetti dei pacchi. Per giorni, per settimane. I vicini delle case della stessa via avevano notato che c’era qualcosa di losco, che non li convinceva, nel comportamento della famigliola. Come lo sappiamo? Perché, il giorno dopo che i due radicali islamici hanno condotto la loro missione ispirati dall’ISIS e hanno ammazzato una quindicina di persone sul posto di lavoro di Farook, mentre era in corso un party natalizio, hanno detto ai giornalisti: “Sì, vedevamo che stavano tramando qualcosa, che non erano normali. Ma erano musulmani, avevano la pelle più scura di noi, e avevamo paura di offenderli, di passare per razzisti a raccontare alla polizia i nostri sospetti”. Avevano vergogna di avere paura di gente “diversa”, perché passare per razzisti o islamofobi è la cosa peggiore di tutte. E’ come dire in un salotto californiano, o dell’Upper West Side, che Obama ha torto: l’ostracismo sociale è garantito, e le conseguenze legali probabili.  Orlando è roba di ieri, la strage record. E anche qui ci sono i “pentiti a scoppio ritardato”. Omar lavorava in una compagnia di personale per la sicurezza, G4S, che aveva contratti con ministeri e agenzie USA, con l’esercito e la Nasa. Squilibrato, violento, inaffidabile, ma musulmano di religione, minacciava di ammazzare gay, donne e negri (lui li chiamava così). Ma quando il suo compagno di lavoro ha raccontato come si comportava Omar ai supervisori, tutti hanno fatto finta di niente. Era intoccabile, protetto dalla sua religione. Anche l’FBI gli aveva messo gli occhi addosso, ma come per i fratelli ceceni della maratona di Boston l’inchiesta si è aperta e chiusa: c’è il diritto di opinione (se non sei un conservatore invitato a parlare in un college), e vale triplo se lo eserciti nel segno di Allah. di Glauco Maggi