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Contro lo spettro del trumpismo scende in campo pure l'Onu (e poi censura)

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Uno spettro si aggira nel mondo, il trumpismo. E tutto gli danno addosso. Il servizio ufficiale del Palazzo di Vetro, l'UN News Service, ha twittato, alle 9.14 PM di giovedi' sera, un “appello agli 8 milioni di Americani all'estero di fermare Trump”. Successivamente il tweet e' stato cancellato, ma e' un classico caso di “voce dal cuor fuggita”. “In un tempo in cui Trump sta cercando di dividerci, potremmo aiutare a batterlo”, diceva il tweet. E spiegava di diffondere a tutti la pagina web del sito Avaaz, organizzazione di attivisti che invita gli espatriati americani a registrarsi e a votare Hillary. Se i giornalisti del Palazzo di Vetro sono in allarme, nei media americani e' panico da quando i sondaggi hanno smesso di dare la certezza della vittoria di Hillary. La categoria dei giornalisti, notoriamente gia' inclinata a sinistra con maggioranze bulgare nella carta e nelle TV, e' scesa in campo, armi ed endorsements, con un senso ossessivo di urgenza per “fermare Trump”. Usa Today, che da quando e' nato 34 anni fa non aveva mai espresso un parere esplicito prima del voto mantenendo una certa parvenza di indipendenza, ha rotto gli indugi e ha pubblicato un endorsement “anti Trump”. “Quest'anno la scelta non e' tra due validi nominati dei maggiori partiti che hanno significative differenze ideologiche”, scrive il giornale. “Quest'anno, uno dei due candidati – il nominato Repubblicano Donald Trump – e', per consenso unanime del Board Editoriale di Usa Today, inadatto alla presidenza. Dal primo giorno in cui ha dichiarato la sua candidatura 15 mesi fa fino al primo dibattito elettorale di questa settimana, Trump ha dimostrato ripetutamente che gli mancano il temperamento, la conoscenza, la fermezza e l'onesta' di cui l'America necessita nei suoi presidenti”. Oltre ai soliti noti pro DEM senza se e senza ma, insomma, tra cui brillano il New York Times, il Washington Post e gli altri giornaloni liberal coast to coast, come il Boston Globe o il Los Angeles Times, in questa tornata presidenziale da brivido la chiamata a rapporto del clan Clinton ha fatto strame dei residui di equidistanza nelle redazioni. E, addirittura, il trend censorio contro Donald ha fatto proseliti in testate tradizionalmente conservatrici. Anzi, troppo conservatrici, perche' dopo aver subito la delusione di non vedere i loro beniamini Ted Cruz o Marco Rubio vincere le primarie, un paio di testate hanno scelto la strategia di chi, per far dispetto alla moglie, … con quel che segue. Cosi', il Cincinnati Enquirer, che da un secolo non aveva mai “endorsed” un Democratico, e l'Arizona Republic, che aveva sempre appoggiato un Repubblicano nei 126 anni della sua storia, si sono allineati alla Clinton. Sono gli ultimi spasmi del movimento dei Never Trump, che e' in contrazione costante a livello nazionale, ma ha ancora un certo numero di militanti radicali che preferiscono mantenere una loro purezza, anche dopo che il loro campione Cruz ha aperto gli occhi alla realta' della politica ed e' salito sul carro del vincitore del GOP. Perche', ha motivato banalmente Ted, “la Clinton e' molto peggio”. Le disdette dagli abbonati alle due testate voltagabbana sono subito arrivate a centinaia, condite con lettere di protesta e persino con una minaccia di morte. L'effetto dell'endorsement alla Clinton, dato da editorialisti che hanno passato la loro vita a combatterla, sara' praticamente nullo l'8 novembre nelle urne, mentre si puo' prevedere che sara' molto piu' negativo per le fortune economiche dei due giornali. Gli editorialisti, di sinistra o meno, che si sentono investiti da un dovere superiore, extrapolitico, etico, di fare la guerra a Trump, stanno anche facendo la guerra alla mezza America di gente comune che lo ha appoggiato alle primarie, e che ora dimostra a colpi di rally entusiastici in piazza, e di sondaggi lusinghieri al foto-finish, di volerlo alla Casa Bianca. I giornalisti diventano utili seguaci di quella stessa Hillary che ha offeso milioni di americani come “deplorevoli”, razzisti, anti gay, xenofobi, anti islamici eccetera. Viene da suggerire, a tutte le penne ossessionate dalla scelta che gli elettori faranno democraticamente, di adottare il distacco scettico di papa Francesco a proposito degli omosessuali: “Chi sono, io, per giudicare?”. Chi sono, gli editorialisti che nessuno ha eletto, per condannare all'ostracismo politico Trump? Lo fanno perche' e' un outsiders rispetto alle elite del potere e della intellighenzia, verso le quali i media sentono l'attrazione fatale. Lo fanno perche' e' uno che non ha avuto il sostegno dichiarato di nessun CEO delle prime 100 corporation della lista di Fortune, ma che e' dove e' perche‘ ha preso 14 milioni di voti dei signor Nessuno. Essendo l'influenza dei media sulle opinioni del pubblico direttamente proporzionale alla credibilita' degli stessi giornali, Trump non ha comunque perso gia' la battaglia con la Clinton a causa dei tanti nemici che ha nelle redazioni. Per Gallup, che misura periodicamente la fiducia della gente nei giornali, solo l'8% degli americani - giugno 2016 – ne ha un'opinione “molto buona”, e il 12% “abbastanza buona”. Nel 2001 era quasi doppia, 13% “molto” e 23% “abbastanza”. Per fare un paragone, della Polizia, che pure e' nel mirino ultracritico dei media e odiata dai Black Lives Matter, il 25% dei cittadini ha oggi una opinione “molto buona” e il 31% “abbastanza”; l'Esercito e' ancora piu' stimato, con il 41% che lo apprezza “molto” e il 32% “abbastanza”. Peggio della stampa c'e' solo il Congresso, con il 6% di americani che lo apprezzano. E questo e' un altro dato che fa sorridere il Trump “anti-Palazzo”, quello che vuole ribaltare Washington. di Glauco Maggi

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