emailgate

Nell'inchiesta su Hillaryl'FBI ha sbagliato due volte

Glauco Maggi

La botta subita da Hillary venerdi’ con l’annuncio della riapertura dell’inchiesta sulle email da parte dell’FBI e’ stata forte, come si e’ capito dagli attacchi del weekend dei DEM al direttore James Comey, che da “funzionario integerrimo e super partes” del luglio scorso, secondo le dichiarazioni di allora di Nancy Pelosi, la massima autorita’ tra i DEM della Camera, e dello staff della stessa Clinton, e’ diventato un manipolatore di elezioni, “colpevole forse di aver infranto le elezioni”, a sentire i commenti rabbiosi di oggi di Harry Reid, capo della minoranza DEM al Senato, e dell’ex ministro della Giustizia Eric Holder. Vedremo nei prossimi giorni l’effetto pieno sui sondaggi, se davvero registreranno il ribaltone. Trump e il GOP, ovviamente, si godono il momento di crisi della Hillary, anche se il commento piu’ onesto e’ di coloro che condannano il Comey di luglio come il Comey di ottobre, perche’ avrebbe sbagliato due volte. Michael Mukasey, filo repubblicano ma anti Trump, giudice di Distretto a New York Sud dal 1988 al 2006, e poi per due anni Attorney General di George Bush, ha scritto sul WSJ che la non incriminazione decisa sui fatti emersi dalla indagine sul server e le email era stata un errore, perche’ Hillary e i suoi avevano compiuto svariati atti che avevano infranto la legge in modo piu’ o meno grave, ma evidente. Il primo possibile crimine era stato di aver usato un server privato, non sicuro, nella gestione di dati classificati governativi; il secondo per aver esposto questi dati alla violazione di governi esteri; il terzo per aver favorito, o diretto, la distruzione di emails e persino di cellulari al fine di ostruire la giustizia e cancellare prove. Se l‘inchiesta si fosse chiusa in luglio con la raccomandazione a mettere sotto processo la Clinton, lei oggi non sarebbe la candidata. Perche’ Comey si era comportato cosi’? Perche’ era sotto la pressione di Obama, che a sua volta illecitamente aveva detto, in una intervista, che la Clinton non aveva messo a repentaglio la sicurezza degli Stati Uniti mandando in giro e ricevendo emails dal server nella sua cantina. In quell’occasione il presidente disse una delle sue abituali bugie, ossia che aveva saputo del server e dei conti privati della sua segretaria di stato dai giornali. Oggi noi tutti sappiamo invece che Barack e Hillary si erano scambiate tante emails, e che le emails della Clinton avevano l’indirizzo di google, non quello state.gov. Comey sapeva di questi scambi gia’ da allora, e come poteva incolpare Hillary di atti criminali legati alle emails scambiate illegalmente, se tra i corrispondenti della segretaria di stato (oltre alla Huma Abedin, oggi nei guai grossi) c’era lo stesso Obama? Lo scoppio della bomba-FBI di venerdi’ scorso e’ quindi l’epilogo di una vicenda sporca, pasticciata, frutto degli intrecci mafioso-politici del clan Clinton con il vertice dei DEM, ed e’ ancora da scrivere nei dettagli. Quello che pero’ e’ gia’ emerso domenica da un articolo del WSJ e’ che da oltre un anno era in corso una faida tra il ministero della Giustizia e l’FBI, non solo sulla faccenda del server ma anche sui conflitti di interesse della Clinton Foundation. In sostanza, la Ministra Loretta Lynch, obamiana di ferro e clintoniana d’acciaio (e’ stata la protagonista dell’infausto incontro con Bill, da cui era stata nominata giudice di Distretto negli Anni 90, all’aeroporto di Phoenix alcuni mesi fa mentre l’indagine era in pieno svolgimento) ha cercato di ostacolare il lavoro degli agenti dell’FBI, e tra costoro la frustrazione era arrivata a livelli tali da procurare le dimissioni di molti di loro. Comey, quando ha saputo giorni fa della montagna di nuove email di Wiener-Abidin in un computer che Huma non aveva mai citato nei precedenti interrogatori, ha riaperto il caso, e lo ha detto al Congresso e al paese. La aiutante di Hillary e’ a rischio di incriminazione per aver mentito alla FBI sul possesso del laptop galeotto del marito maniaco. E Comey, se non avesse parlato ora, prima dell’8 novembre, sarebbe stato a rischio di essere accusato, tacendo, di voler coprire i guai di Hillary per farla eleggere. In gennaio, Trump o non Trump, le Commissioni della Camera ancora controllate dal GOP, e davanti alle quali Comey aveva detto sotto giuramento nei mesi scorsi di aver chiuso ogni indagine, lo avrebbero messo sotto accusa, e magari anche mandato in galera. Questo e’ vero e aiuta a capire la sua mossa, a sua difesa. Ma e’ anche vero che, uscendo allo scoperto a 10 giorni dal voto, il direttore dell’FBI ha infranto la norma che vieta agli inquirenti di influenzare il voto presidenziale. I DEM che sbraitano sulla regola “infranta” sono gli stessi DEM che non fanno una piega, anzi applaudono, quando sono infrante altre regole, se a loro vantaggio. Di quella di un presidente che rilascia dichiarazioni per influenzare un’indagine abbiamo gia’ detto. E che dire di quello stesso presidente, Obama, che fa da settimane campagna aperta, parlando ai comizi al fianco della candidata del suo partito, quando lui, formalmente, e’ il presidente di tutti gli americani e non potrebbe svolgere attivita’ politica, diretta e partigiana? di Glauco Maggi