Cerca
Logo
Cerca
+

I repubblicani scaldano i motori: per la Casa Bianca Rubio, Paul o un altro Bush...

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

Vai al blog
Marco Rubio Foto: Marco Rubio
  • a
  • a
  • a

  Rand Paul, il senatore del Kentucky libertario come il padre Ron Paul, che è stato candidato presidente alle primarie del GOP nel 2012, ha fatto sapere ieri che entrerà in gara lui nel 2016, e con ciò manterrà il cognome di famiglia nella corsa alla Casa Bianca. Ha aggiunto che formalmente deciderà l'anno prossimo, ma quando un personaggio politico comincia a dire che ha tutte le intenzioni di partecipare alla gara presidenziale, di solito è cosa fatta. A riprova, Rand Paul ha già un calendario di visite negli Stati-chiave che sono i primi a tenere le primarie.  Dunque, lo scenario che si prospetta sul versante repubblicano è di avere più di un candidato “favorito” dai Tea Party, visto che se c'è per ora una certezza sul lotto dei concorrenti del GOP, questa è Marco Rubio, il senatore della Florida, cubano-americano. Rubio è stato eletto alla carica nel 2010, come Paul del resto, portati entrambi al successo proprio dal vento pro Tea Party che soffiava forte due anni dopo l'entrata di Obama alla Casa Bianca e il passaggio del superstimolo e di ObamaCare. Spenta la stella di Sarah Palin (ma mai dire mai in politica, la ex governatrice dell'Alaska potrebbe anche presentarsi, soprattutto se non ci fosse nessun'altra candidata donna tra i repubblicani, e tra i democratici dovesse affermarsi la ipotesi Hillary), la componente nel GOP dei conservatori più radicali sarebbe quindi  autorevolmente rappresentata dai due neo-senatori. Forse troppo rappresentata, pensano i più tradizionalisti del partito che temono una deriva di nomi, e soprattutto di idee e di toni, etichettabili dagli avversari democratici, e dalla stampa fiancheggiatrice, come estremisti. La sconfitta del 2012 di Mitt Romney, che aveva passato una vita da moderato ma si era dovuto “radicalizzare” durante le primarie per sopravvivere agli attacchi dei Santorum e dei Gingrich, finendo né carne né pesce, imporrà, anzi ha già imposto, una revisione delle politiche, e dell'approccio nell'offrirle al pubblico. Infatti, Rubio si è già caratterizzato come aperturista sulla riforma della immigrazione guidando la pattuglia dei 4 senatori del Gop che, insieme a 4 democratici, ha svelato oggi al senato una proposta di compromesso sulla regolarizzazione degli 11 milioni di clandestini che vivono in America, per la totalità o quasi ispanici. Rubio pensa di prendere due piccioni con una fava: da un lato far sfondare al proprio partito il muro di diffidenza degli ispanici verso i repubblicani, quello che ha fatto perdere Romney; dall'altro scrollarsi un po' dal curriculum l'eccesso di identificazione con i Tea Party, che sarebbe una zavorra in un confronto finale per la Casa Bianca. La discesa in campo di Rand Paul, però, intralcerà i suoi piani costringendolo a mantenere un "tasso di radicalismo" sufficiente a non farlo cadere in disgrazia presso l'ala del partito che l'aveva aiutato a sbaragliare il concorrente moderato del GOP in Florida nelle primarie del 2009, e poi a fargli conquistare il seggio. Se non riuscisse Rubio a gestire la "conversione" al centro sulla immigrazione sfruttando la sua origine cubana, il rischio che la opinione pubblica veda i due galli del pollaio del Tea Party monopolizzare la battaglia colorando di "radicalismo" il GOP potrebbe tradursi in una ricerca dell' "usato sicuro". E che cosa c'è di più garantito, per il pubblico dei conservatori ma anche per una forte quota di moderati e di indipendenti, della premiata famiglia Bush? Gli ultimi 12 anni di presidenze repubblicane sono stati i 4 di Bush padre e gli 8 di Bush figlio. Perché non immaginare un terzo Bush in rampa di lancio per il 2016? Jeb Bush, da grande sostenitore e mentore di Marco Rubio nella stessa Florida di cui è stato apprezzato governatore mentre il fratello George era presidente, sarebbe peraltro una candidatura che non stupirebbe nessuno. Sposato ad una messicana, avrebbe anche la carta per non essere malvisto dagli ispanici come fu invece per il mormone bianchissimo del Massachusetts. E' vero che la apertura delle urne per la presidenza è ancora lontana, ma le candidature richiedono tanto tempo di preparazione, per trovare alleati e finanziamenti. I 310 milioni di americani hanno altro a cui pensare ora, ma per chi coltiva il grande sogno la gara è già in pieno svolgimento.   

Dai blog