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Quel seggio speciale in Georgia che cambia l'America di Trump

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Ci sono due modi di parlare della situazione politica interna nell'America di Trump, dopo l'elezione speciale in Georgia per riempire il seggio di deputato vacante da quando chi lo occupava, il repubblicano Tom Price, e' stato fatto ministro della Sanita' nel nuovo governo. Quello italiano e' facile da raccontare: i grandi media (con Libero che ha fatto eccezione) hanno messo la testa nella sabbia e hanno giudicato una "non notizia" l'esito del voto: la repubblicana Karen Handel che ha superato il democratico Jon Ossoff per 52% a 48%. E il fatto che questa elezione speciale sia stata la quarta di fila, dopo Montana, Kansas e Sud Carolina (il cui ballottaggio e' stato concomitante con quello georgiano), a concludersi con la vittoria di un candidato del GOP da quando Donald e' alla Casa Bianca, ha contribuito di sicuro a cestinare le irritanti agenzie dall'America e a ignorare le ore di commenti su CNN e FOX News. In America, appunto, c'e' stata una totale, asfissiante copertura. E si capisce perche'. Ai fini degli equilibri in Congresso, con la Camera che contava prima del voto 239 deputati del GOP, ben 46 in piu' dei 193 DEM, uno in piu' o in meno da una parte o dell'altra non fa grande differenza. La corsa per il Distretto 6 della Georgia, pero', aveva un significato eccezionale quale test per le elezioni di medio termine del novembre 2018. In quel Distretto, nel cuore della Georgia repubblicana, o rossa come dicono qui, l'elettorato e' affluente, c'e' tanta gente che ha studiato. Non ci sono minatori o contadini dimenticati dalle elite, che e' il serbatoio del presidente. I repubblicani locali, pur in maggioranza sui DEM da decenni, non erano stati particolarmente trumpiani l'8 novembre, dandogli soltanto 1,5 punti piu' che alla Clinton. Allo stesso tempo, nel voto per il seggio da deputato, avevano eletto Price con 24 punti di vantaggio sull'avversario. I vertici DEM, fidando anche sullo scarso carisma dei candidati nel campo del GOP, avevano deciso di puntare sul trentenne Ossoff per fare il colpaccio. Il meccanismo elettorale nel Distretto 6 della Georgia prevede una prima votazione (che e' stata fatta il 19 aprile) in una "primaria aperta", a cui partecipano i candidati di entrambi i partiti. Se uno prende oltre il 50%, e' eletto subito. Ossoff, il solo DEM in lizza, era arrivato primo con il 48,1%. Non tagliare subito un traguardo che sentivano alla loro portata era stata gia' una forte delusione. Dietro Ossoff, guadagnandosi il diritto al ballottaggio, era giunta la Handel con il 19,8%, seguita da un branco sparso di 10 repubblicani. Il 20 giugno, allo scontro frontale, Ossoff si e' fermato in percentuale dov'era in aprile, anche se ha conquistato 32mila voti in piu'. La Handel ha pero' fatto molto di piu': ha raccolto non solo tutti gli elettori del GOP del 19 aprile, ma ne ha attratti altri 96mila, che avevano disertato il primo turno. L'interesse per il seggio in Georgia era diventato spasmodico, nello Stato di Atlanta ma soprattutto a livello nazionale. Dalla California, da New York, e da altre roccaforti Democratiche, i finanziatori esterni hanno fatto affluire oltre 30 milioni di dollari alla campagna di Ossoff, che aveva creato un suo slogan esplicito "Votatemi che facciamo infuriare Trump". Sull'altro fronte, il vertice repubblicano, da Washington, ha sostenuto con una ventina di milioni la Handel, che era Segretaria di Stato in Georgia ma non aveva un grande appeal personale: in precedenza aveva perso le primarie per diventare senatrice e governatrice. E' stato, in sostanza, uno scontro a tutto tondo tra i due poli politici nazionali. I DEM, che peraltro hanno tra i loro punti ideologici astratti la guerra alla influenza dei soldi in politica, dopo essere stati battuti per la Casa Bianca da uno che si e' pagato le spese per la nomination si devono ora leccare una doppia ferita: 1) aver perso la gara, e 2) aver speso una somma spropositata in propaganda, al punto che questa competizione per un singolo seggio e' diventata la piu' costosa nella storia USA. Il senso politico della vicenda e' profondo. Il GOP si e' stretto attorno al suo candidato, sapendo che una sconfitta avrebbe aperto una crisi interna, prima del voto del 2018, su come interpretare il ruolo di Trump: "spinta" o "zavorra"? L'esito dice una cosa chiara: se il partito vuole restare maggioranza deve raggiungere risultati legislativi in fretta – Obamacare e tagli delle tasse – e per far questo ha bisogno di un presidente che sia una "spinta". I DEM, incassato lo smacco devastante, sono davanti a una crisi esistenziale. La "resistenza" a Trump non ha convinto gli elettori indecisi, anzi ha cementato il GOP. Aver puntato tutto sulla Russia, su Mueller, sull'ostruzione, sull'impeachment avra' soddisfatto gli impulsi dei liberal interni, e dato tanto da scrivere agli orfani obamian-clintoniani nel mondo, ma in America ha di fatto rafforzato, e compattato, Casa Bianca di Trump e Congresso repubblicano. La vittoria in Georgia ha creato il miglior contesto politico possibile per riuscire ad approvare la riforma di Obamacare, e poi quella fiscale: oggi il capo dei senatori Mitch McConnell ha reso pubblico il piano per la legge sanitaria che sara' messo al voto la settimana prossima, sempre che si trovi l'intesa finale tra centristi e ultraconservatori. Vedremo se dopo aver umiliato i DEM di Nancy Pelosi, la leader di 77 anni in disgrazia, i repubblicani sapranno gestire il successo. di Glauco Maggi

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