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E così anche i giocatori di Football si uniscono alla combriccola anti-Trump di Hollywood

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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La polemica in stile Gianni Morandi (“….in ginocchio da te”…) entra in Congresso, con la deputata DEM texana Sheila Jackson Lee, afroamericana, che si e' inginocchiata in parlamento a sostegno degli atleti inginocchiati negli stadi. La deputata ha fatto un discorso, in realta' una capriola, per spiegare la sua mossa di inginocchiarsi dicendo che lo fa per onorare la bandiera, quella stessa bandiera che gli atleti protestatari (200 nel fine settimana, ossia uno su otto) vogliono disonorare inginocchiandosi prima delle partite durante l'inno e, appunto, davanti alla bandiera. La Lee ha gridato al “razzismo” di Trump, perche' ha chiamato in un tweet “figli di p… da licenziare” gli atleti dimostranti che mancano di rispetto a inno e bandiera. Siccome la maggioranza dei giocatori di football sono neri, secondo la parlamentare DEM il presidente avrebbe voluto in realta' sferrare un'offesa agli afro-americani, non difendere l'onore del paese e dei suoi simboli. E un altro deputato DEM texano,  Al Green, ha oggi annunciato che la settimana prossima richiedera' un voto in aula per procedere all'impeachment del presidente per aver attaccato, durante il suo rally in Alabama di venerdi' scorso, un atleta nero che si era inginocchiato per protesta (Colin Kaepernick) un anno fa, il primo che aveva dato vita al movimento. Trump, e solo quelli in cattiva fede insistono a non accettare cio' che e' ovvio, aveva gia' chiarito giorni fa, ai giornalisti che prima delle accuse di Jackson e Green gli avevano chiesto se non avesse sotto sotto motivazioni di razza nei suoi attacchi, che l'unica spinta alle sue parole era data dal patriottismo. E che il colore dei protestatari non aveva nulla a che fare. Ma che esista una componente razziale nella polemica tra Trump e la NFL e' una realta' di fatto, anche se di tutt'altro segno di quello lamentato dai DEM. “La Lega NFL dovrebbe, si dice, riflettere una cultura progressiva da 21esimo secolo. Ma se fosse cosi', non e' vero che oggi sia etnicamente e razzialmente diversa”, ha scritto in proposito lo storico Victor Hansen sulla National Review. “Invece, la Lega del football USA e' basata sui criteri meritocratici del passato, e la partecipazione e' basata solo sul talento atletico e sulla bravura tecnica. Cio' e' una caratteristica da ammirare che garantisce, non di meno, che la NFL sia antitetica all'intero dogma progressista della rappresentazione proporzionale che richiede anche ad entita' quasi-pubbliche ‘di apparire come noi'. Infatti, a dispetto dell'assenza di razzismo o di deliberate esclusioni, in altri campi dove esiste una non-diversita', o in iniziative sussidiate dal governo, si devono compiere i necessari sforzi ‘inclusivi' per creare diversita'. E sicuramente”, continua Hanson, “ci sono atleti asiatico-americani e ispanici ben dotati che potrebbero essere addestrati e integrati in una redditizia e prestigiosa Lega i cui giocatori sono per circa il 75% afro-americani, un tasso di partecipazione che e' di oltre sei volte sproporzionato in termini di realta' demografica. Ripeto, questi sono dogmi di estrema sinistra che una Lega di estrema sinistra, in tutta evidenza, non ritiene di applicare a se stessa”. L'affirmative action, insomma, si ferma negli spogliatoi delle elites sportive perche' a soffrirne sarebbero i neri, e a beneficiarne gialli, ispanici e bianchi. Ma a Hollywood, chi lo dimentica?, quando in una singola stagione capito' che non c'erano stati attori o registi afro-americani tra i vincitori degli Oscar successe il finimondo per la “discriminazione”. Ora sono gli stadi a fare da  “passerella rossa” dei ‘nuovi eroi di sinistra'. Il fenomeno degli atleti milionari inginocchiati contro la bandiera per colpire Trump e' il segno che il football professionistico si e' unito ai divi della musica, del cinema e delle altre industrie dell'intrattenimento nel diventare “completamente politicizzato dalla sinistra come parte della guerra culturale”, ha scritto William Jacobson su Legal Insurrection. Per il professore di legge della Cornell “c'e' un regno del terrore che si fa strada in questo paese” provocato dagli “attivisti di sinistra rafforzati dai social media che cercano di imporre i piu' intrusivi test di politica purezza in ogni aspetto delle nostre vite”. E oggi, “la NFL si e' schierata in questa guerra”. Non a caso, la NFL “ha rifiutato di permettere ai Dallas Cowboys di mostrare una etichetta in onore del poliziotto di Dallas ammazzato da un sostenitore di Black Lives Matter”, mentre la stessa NFL supporta l'inginocchiarsi degli atleti durante l'inno nazionale in sostegno di Black Lives Matter. Cio', per Jacobson, “ e' la conclusione della guerra culturale, la conquista degli sport professionali da parte dei militanti di estrema sinistra”. Glauco Maggi

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