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Tasse, occupazione, stipendi. Donald Trump, la sua vera rivoluzione

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Funziona o non funziona la riforma che ha tagliato le tasse, passata nel dicembre scorso dal Congresso controllato dai Repubblicani e firmata da Trump che l'aveva promessa in campagna elettorale? Sara' sul successo della politica economica della Casa Bianca e dei tagli fiscali nel rafforzare la crescita del paese, nel creare nuova e migliore occupazione, nell'aumentare i guadagni dei lavoratori e il valore delle azioni in Borsa, che sara' valutato il presidente alla fine del suo primo mandato nel novembre 2020. Ma il prossimo appuntamento elettorale e' fra sette mesi, con il voto di medio termine per rinnovare il Congresso, e quindi pure l'elezione di tutti i 435 deputati e di un terzo dei 100 senatori si giochera' in buona misura sulla soddisfazione personale per la propria condizione economica che la gente sta provando ora, dopo i tagli fiscali. Capisco – e condivido visto che pure io ci scrivo su Libero - che l'attenzione dei media in questa fase sia tutta per altre questioni di copertina (dalla Siria & Corea al Russiagate, dalla pornostar Stormy Daniels ai raid del Procuratore Speciale Robert Mueller), ma per avere una migliore possibilita' di capire che cosa stia accadendo nella vita di tutti i giorni della gente credo sia giusto riferire anche notizie solitamente relegate nelle sezioni economico-finanziarie. Quelle che coprono l'andamento delle imprese e della Borsa e che condizionano la situazione realmente vissuta dai lavoratori e dagli investitori. L'elettorato e' influenzato da tanti fattori esterni – la paura di guerre, la sicurezza contro la criminalita', gli effetti delle immigrazioni incontrollate – e in parte guidato da simpatie ideologiche a priori. E' pero' indiscutibile che il grosso dell'elettorato pensi, come si usa dice, con “la mano sul portafoglio”. Cioe' che decida se confermare la fiducia al partito in carica per quanto di buono (a suo giudizio) ha fatto, o se puntare sulla attuale opposizione che cambiera' la direzione del paese. Ecco le 4 carte per il poker vincente. *Guadagni dei lavoratori. Tre mesi di vita della legge “Tax Cuts and Jobs Act” “hanno prodotto piu' soldi in busta paga, aumenti di stipendi, bonus speciali, e hanno incrementato i benefici e i contributi previdenziali ai dipendenti da parte dei datori di lavoro”, ha scritto sul sito The Hill  Alex Hendrie, direttore della Politica delle Tasse per il pensatoio ‘pro free market' ATR (Americans for Tax Reform). Tutto vero e documentato. ATR pubblica da gennaio le notizie relative ai miglioramenti concreti che le aziende hanno accordato ai dipendenti grazie alla riforma fiscale. Le segnalazioni al pensatoio, in costante aumento, sono ovviamente volontarie, e quindi potrebbero esserci tanti altri casi. Questa settimana e' stato superato il numero di 500 (505 per l'esattezza) e la lista completa e' leggibile sul sito di ATR. Il link per avere i nomi dei datori e i benefici concessi e' www.atr.org/list . * Borsa USA. Da quando e' stato eletto Trump l'8 novembre del 2016 l'indice Dow Jones delle 30 blue chips e' balzato da quota 18.259 a 24.547 di oggi 12 aprile, nella aspettativa che un presidente pro business e pro tagli delle tasse e delle regolamentazioni del grande governo creasse prosperità. L'aumento degli indici nell'ultimo trimestre e' stato frenato dalla volatilita' causata da fattori strutturali (i prezzi si erano gonfiati a livello di possibile bolla) e contingenti (le tariffe annunciate da Trump sulle importazioni di alluminio e di acciaio hanno scatenato paure di una guerra commerciale che ora pare rientrata: Trump ha gia' ottenuto migliorie negli scambi con Corea del Sud e Cina e ha congelato le tariffe contro Messico, Canada e Europa dopo che sono state avviate trattative per correggere i patti di scambio nel senso di una completa reciprocita', che oggi per Trump non c'e' e che e' sempre stato il suo obiettivo vero.) Comunque, gli investitori sono ancora pienamente in attivo rispetto a un anno fa (52 settimane): il Dow Jones e' a +17,5%; il Nasdaq 100 a + 22,4%; lo S&P500 a +12,7%; il Russell delle 2000 aziende quotate a +13,8%. *Profitti del primo trimestre delle societa' quotate. Secondo l' Investment Strategy Report, firmato da Ryan Grabinski e Jason Trennert della societa' newyorkese di analisi finanziarie Strategas, le aspettative di incremento degli utili sono balzate oggi al +18,5%, un aumento del 50% circa dal 12,2% all'inizio del 2018. “Non si puo' negare che la parte del leone di questo aumento sia dovuta ai tagli delle tasse”, scrivono gli analisti. Maggiori profitti possono essere usati per distribuire dividendi piu' ricchi agli azionisti, per dare bonus e aumenti, per investire in iniziative di sviluppo aziendale che creano posti, per riacquistare azioni proprie. Questa ultima misura aiuta le quotazioni azionarie a crescere, e va ricordato che il 55% degli americani sono possessori di azioni (praticamente tutti i lavoratori attivi e i pensionati hanno fondi pensionistici investiti in azioni, almeno in parte).   *PIL. Il CBO (Ufficio Congressionale Bipartisan del Budget) ha scritto due giorni fa che il taglio delle tasse aiutera' l'economia a crescere piu' velocemente – il 3,3% quest'anno e il + 2,4% nel 2019. L'ultima volta che il PIL aumento' con questa velocita' fu nel 2005, ha riportato il WSJ. Cio' ovviamente produrra' per lo Stato un reddito fiscale maggiore di quanto il CBO aveva stimato in precedenza: Dan Clifton, un altro economista di Strategas, ha calcolato che secondo le stime del CBO il taglio delle tasse ha gia' “pagato per circa il 30% delle sue perdite di reddito statiche”. “Statiche”, cioe' che non tengono conto dell'effetto “dinamico” sulla crescita economica, e quindi sui redditi fiscali per lo Stato, che tale crescita produce. I membri del CBO sono di scuola keynesiana, ricorda il WSJ, e “danno poco credito agli incentivi dalla parte dell'offerta che sono generati dai tagli fiscali, ma vedono un effetto di maggiore crescita dalla spesa del governo. Non hanno imparato nulla dall'errore di aver soprastimato la crescita che sarebbe stata creata dalla febbre di spesa pubblica di Obama nel 2009 (quasi 1000miliardi di dollari NDR)”. di Glauco Maggi

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