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Venezuela, anche il comunista Maduro è costretto ad ammettere: ho sbagliato tutto

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Per un leader comunista al potere e' raro ammettere di aver sbagliato politica, ma quando nella capitale dello Stato la corrente va via nel'80% dei rioni, ed e' solo l'ultimo risultato della mancanza di soldi e di materiali che sta paralizzando l'erogazione dei servizi di base in tutta la nazione sudamericana, qualcosa il leader maximo deve pur dire. E cosi' ha fatto il presidente Nicolas Maduro, che governa un paese sdraiato su giacimenti immensi di petrolio ma che e' tanto povero e affamato, grazie alla doppia cura “Chavez-Maduro”, da aver fatto dimagrire forzatamente la gente di 10 chili e da aver trasformato gli ospedali in depositi di malati senza medicine e i supermercati, nazionalizzati, in loft con gli scaffali vuoti. “I modelli di produzione che abbiamo tentato finora sono falliti e la responsabilita' e' nostra, mia e vostra”, ha detto davanti al Congresso del suo stesso partito PSUV al governo Maduro, in una bizzarra rielaborazione teorica del concetto di responsabilita' politica. “Basta con i piagnistei… dobbiamo produrre con o senza l'aggressione (esterna NDR) e con o senza embarghi. Dobbiamo fare il Venezuela una potenza economica”. Avesse detto “far ancora grande il Venezuela” avrebbe, almeno, fatto ridere. "La mia stima e' che ci vorranno due anni per raggiungere un alto livello di stabilita' e per vedere i primi sintomi di una nuova prosperita' economica, senza toccare per un secondo la sicurezza sociale e la protezione”, ha sparato Maduro, il cui piano di ripresa si basa su “un aumento di produzione di barili di petrolio a 6 milioni al giorno entro il 2025”. Ma dal 2008, quando i barili erano 3,2 milioni, il governo dei socialisti li ha ridotti a 1,5 milioni quest'anno, il minimo da 30 anni. Per quei venezuelani ancora nel paese – i riparati all'estero sono oltre 4 milioni da Chavez ad oggi – le parole di Maduro sono una beffa, perche' vivono la tragedia sulla loro pelle. Manca tutto, e non si puo' comprare piu' nulla se non al mercato nero, anzi nerissimo. La banca centrale di Caracas in gennaio ha svalutato la moneta locale ufficiale, il Bolivar, del 99,6% e sugli scambi di valute, va da se', c'e' la gestione centralizzata governativa. L'inflazione, secondo il Fondo Monetario Internazionale, arrivera' a fine anno a 1.000.000 % (wow, e' la prima volta che mi capita di scrivere questa percentuale). Il PIL del Venezuela calera', dice sempre il FMI, del 18%, quarto anno di recessione. “Basta piangerci addosso, voglio soluzioni, compagni”, ha intimato Maduro nel suo appello ai quadri del partito. Ma che cosa potranno escogitare ancora i “compagni venezuelani” per salvare se stessi, dopo che il governo socialista negli ultimi anni ha gia' nazionalizzato vari settori dell'economia, dal cemento all'acciaio; ha espropriato centinaia di imprese, comprese le catene di supermercati; recentemente ha fissato i prezzi di molti generi di consumo e usato l'esercito per controllare i mercati nelle strade contro aumenti “illegali”. Inutile ricordare che il Venezuela, gia' paradiso per i Sean Penn, i Michael Moore e la folta cellula di compagni di Hollywood, ha adottato dai tempi di Chavez la statalizzazione della assistenza sanitaria e della scuola, il blocco degli affitti, lo stipendio minimo garantito. Queste “conquiste sociali” le conoscono tutti, anche se a sinistra nessuno ammette che la vecchia battuta della Thatcher resta validissima: “Il problema del socialismo e' che alla fine i soldi degli altri finiscono”. I socialisti venezuelani al potere stanno girando l'ultimo, drammatico, ‘reality show' della applicazione della loro politica, e mettono la testa nella sabbia. Il paradosso e' che, pur assistendo (in Florida) al costituirsi di una colonia di esuli del regime di Maduro sulla falsariga degli scampati da Castro, i DEM americani, in crescente misura, stanno con entusiasmo abbracciando il socialismo come linea per le prossime elezioni. “Sanita' gratis per tutti, scuola gratis per tutti, stipendio garantito per tutti”, sono gli slogan della ‘nuova sinistra Democratica Socialista' di Bernie Sanders, Elizabeth Warren e Alexandria Ocasio-Cortez, l'ultima stella del partito. Rispetto al programma di Maduro, i “compagni americani” (anche i Democratici Socialisti si chiamano tra di loro in questo modo alle riunioni di partito) hanno in piu' “i confini aperti con la abolizione dell'ICE” (la agenzia di controllo delle frontiere). Del resto in Venezuela, come detto sopra, questo non serve perche' nessuno vuole andarci ma all'opposto scappano a milioni. Se Sanders e compagni convinceranno gli americani a votarli, e a far si' che attuino negli USA le riforme economiche socialiste in stile Chavez-Maduro, non ci sara' piu' il problema dell'arrivo dei clandestini. E se, nel frattempo, Trump sara' riuscito a costruirlo, il Muro verra' buono per non far fuggire gli americani dall'America Rossa. di Glauco Maggi

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