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Trump e il muro per fermare l'invasione dal Messico: quanti soldi vuol piazzare

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Da una parte i 5 miliardi di dollari che Trump chiede al Congresso per finanziare il Muro al confine messicano, con il fine di proteggere il paese contro i migranti irregolari che premono. Dall'altra 1,3 miliardi offerti dai Democratici per riparare e ammodernare le reti e le barriere gia' esistenti, dicendo che sono soldi per rafforzare la sicurezza nazionale, ma non per pagare il Muro trumpiano. Tra pochi giorni dovra' essere approvata la finanziaria per garantire che l'intera macchina federale possa procedere fornendo i normali servizi statali ai cittadini americani, ma non c'e' alcuna intenzione, per ora, di trovare un'intesa tra i due poli politici opposti. In tempi normali, si potrebbe trovare un compromesso a mezza strada, 3,5 miliardi e voltiamo pagina. Oggi no, perche' in realta' sia il presidente Trump sia Chuck Schumer-Nancy Pelosi, rispettivamente capo della minoranza Dem in Senato e Speaker della Camera entrante dal prossimo 2 gennaio quando in Congresso siederanno i nuovi deputati e senatori usciti dalle urne di novembre, stanno pensando ad altro. Donald ha in mente la rielezione del 2020, e vuole presentarsi con la promessa mantenuta, sventolando la bandiera del difensore della sicurezza del Paese. I Democratici sono convinti che gli elettori daranno la colpa ai Repubblicani e al suo leader se ci sara' la serrata del governo, e che cio' si tradurra' nel 2020 in un ulteriore avanzamento della “ondata blu” alla Camera, nel ribaltamento del controllo repubblicano in Senato e, ovviamente, nella cacciata di Trump dalla Casa Bianca. Ci sono state riunioni febbrili nelle ultime ore negli organismi direttivi dei due partiti, ma non e' apparsa ancora alcuna possibile soluzione all'impasse. “Non so di nessun piano”, ha detto John Cornyn, repubblicano del Texas e numero due del GOP in Senato con l'incarico di “Majority Whip” (“frusta del partito di maggioranza”, come e' chiamato chi ha l'incarico di tenere unito il partito convincendo gli eventuali ricalcitranti a votare “in linea” con le decisioni del vertice). “Il presidente non ha un piano per tenere aperto il governo evitando lo shutdown”, ha detto Schumer, ricordando che “almeno in Senato, Trump non ha i numeri per ottenere i 5 miliardi del Muro”. Perche' una legge passi, infatti, in Senato serve la supermaggioranza di 60 voti su 100, e il GOP ne ha 51 fino a fine dicembre, che diventeranno 53 da gennaio. Alla Camera, invece, i Repubblicani sono in maggioranza fino al 31 dicembre e potrebbero quindi passare una finanziaria contenente i 5 miliardi del Muro, che non otterrebbe pero' il voto indispensabile del Senato. Un anno fa, era stato Schumer a minacciare la serrata se il GOP e il presidente non avessero inserito la misura di sanatoria a favore dei cosiddetti Dreamers (Sognatori), gli 800mila clandestini messicani arrivati minorenni negli USA e che erano a rischio di deportazione per la scadenza dei termini legali. Prima della serrata, pero', il leader democratico Schumer si rimangio' la minaccia perche' valuto' che sarebbe stata una debacle politica per il suo partito. Successivamente, un giudice federale tolse le castagne dal fuoco della tenzone politica quando emise un verdetto che prolungava il regime provvisorio di sanatoria disposto da Obama. Ora nessun giudice puo' deliberare, all'ultimo minuto in un senso o nell'altro, a proposito del finanziamento del Muro. La partita e' tutta in mano ai politici, e il braccio di ferro durera' fino all'ultimo istante, cioe' entro la mezzanotte di venerdi'. Si vedra' chi sta bluffando in queste ore, tra Trump e i Democratici, solo se uscira' la fumata bianca di un compromesso entro la settimana.  Altrimenti, luci spente nel Palazzo di Washington da sabato. Dal 1976 ci sono stati 20 casi in cui c'e' stato un periodo “scoperto” di tempo tra la fine di un bilancio e la decisione congressuale del nuovo finanziamento, firmata dal presidente. In otto di questi intervalli, i cosiddetti shutdown o serrate del governo, migliaia di dipendenti federali sono stati lasciati a casa senza stipendio e sono stati chiusi monumenti, musei, parchi e uffici di vari ministeri.   Glauco Maggi

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