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Volkswagen, uno strano caso negli Stati Uniti (e in Cina)

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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La Volkswagen ha stabilimenti e succursali ovunque, oltre che in Germania, ma solo in due Paesi i lavoratori non hanno un sindacato interno riconosciuto dall'azienda, abilitato a rappresentare i loro interessi. Sono gli Stati Uniti e la Cina, con una differenza tra le due realta' che e' fondamentale, ed illuminante in tempi di rivalutazione del socialismo-comunismo in America, dove i sondaggi (l'ultimo e' di Economist-You gov. della settimana passata) dicono che una maggioranza assoluta dei giovani dai 18 ai 30 anni vede bene il socialismo, e osteggia il capitalismo. Ecco la differenza: i lavoratori delle fabbriche Volkswagen in Cina non possono avere un sindacato interno perche' e' vietato dal regime comunista di Xi, mentre i lavoratori del primo stabilimento della Volkswagen aperto nel Sud del Paese, a Chattanooga in Tennessee, hanno respinto con il voto della maggioranza dei dipendenti il tentativo della United Auto Workers (UAW, la Union del settore automobilistico negli USA) di introdurre il sindacato nello stabilimento. Nel paese comunista l'associazionismo libero e' negato e il governo controlla il mondo del lavoro, dagli stipendi ad ogni aspetto delle relazioni industriali. In America, la liberta' di associarsi e' protetta dalla legge, ma i sindacati devono conquistarsi democraticamente, con il voto segreto, la delega dei lavoratori a rappresentarli presso l'azienda. Se i dipendenti pensano che sia per loro vantaggioso lasciar decidere all'impresa e ai suoi manager la gestione della fabbrica, comprese le promozioni, gli incentivi e gli aumenti retributivi, anche su base individuale, respingono la ‘tutela sindacale' della burocrazia delle Union. L'azienda, ovviamente, non puo' fare opposizione alle operazioni che portano al voto, e nel caso di Chattanooga la Volkswagen, che in Germania ha il potente sindacato tedesco automobilistico nel consiglio di amministrazione con posizione preminente, i manager interni della fabbrica avevano ‘simpatizzato' con la UAW nel 2014. al primo tentativo. Stavolta hanno mantenuto un atteggiamento neutrale, esplicitamente, e l'esito e' stato lo stesso: infatti la settimana scorsa, dopo tre giorni di votazioni a cui hanno liberamente partecipato circa 1660 lavoratori, in 833 hanno rifiutato la prospettiva di farsi rappresentare dalla Union, contro 776 favorevoli. Era la seconda volta che il sindacato nazionale tentava di introdursi nello stabilimento, e ha fallito ancora. La UAW ci aveva provato nel 2014, avviando la procedura legalmente prevista per tenere lo scrutinio, e alla quale l'azienda non puo' ovviamente opporsi: i dipendenti che votarono no erano stati 712, i si' 626. La Volkswagen e', come tutte le altre fabbriche create dalle aziende automobilistiche straniere che operano in America, in uno degli Stati in cui vige la legge del “diritto al lavoro”, ossia fuori dalla regione tradizionalmente sindacalizzata delle Big Tre in Michigan attorno a Detroit (GM, Ford e Chrysler-FCA). La sconfitta allunga la lista dei fallimenti della UAW nei suoi tentativi di riuscire a sindacalizzare una prima fabbrica posseduta dalle societa' estere, europee e asiatiche, che producono milioni di veicoli negli Stati Uniti senza che ci sia un singolo lavoratore con la tessera della Union. Gli iscritti alla UAW, peraltro, sono sempre di meno in generale: erano un milione e mezzo circa nel 1979, ora sono ridotti a 400 mila. di Glauco Maggi

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