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Le condizioni di vita sulla Terra? Ecco cosa non sappiamo sui numeri e i sondaggi

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Correttezza politica e numeri non vanno d'accordo. Anzi, litigano. Prendiamo il giudizio sull'andamento delle  condizioni di vita sulla Terra nell'ultimo decennio. Il mantra che ha conquistato i media del mainstream, e da qui il pensiero pressoche' unico nell'opinione pubblica, e' l'ineguaglianza. Intesa come l'allargarsi del divario tra i poveri sempre piu' poveri, e i ricchi sempre piu' ricchi, l'“inequality” - termine inglese diventato universale -, e' centrale negli slogan politici non solo della sinistra progressista, che ce l'ha nel suo DNA dal socialismo utopico e dal comunismo “scientifico” di Karl Marx, ma anche della destra politica conservatrice che non vuole di sicuro passare per insensibile ed estranea - perche' non lo e' - alla battaglia per migliorare la vita dell'umanita'.  Nessuno nega che ci sia ancora un sacco da fare, insomma, sulla strada che ha portato il povero senza scarpe dickensiano dell'Ottocento al povero di oggi, che in America e' considerato tale se ha un reddito annuo sotto 11.770 (dato del 2015, quando il 6% circa della popolazione viveva sotto quella soglia), e in Africa e Asia se vive con meno di due dollari al giorno. La Banca Mondiale ha l'obiettivo di sradicare la poverta' estrema entro il 2030, e un suo rapporto dice che la percentuale sta scendendo di anno in anno. “Scendendo”, quindi.  Anche le Nazioni Unite confermano il trend, ma non lo mettono in bella vista nell'ultimo Rapporto sullo Sviluppo. Lo studio e' presentato come un allarme sulla ineguaglianza ma vi si leggono pure queste parole, oneste e stridenti con il messaggio politicamente scontato: “La distanza negli standard basilari di vita si sta restringendo, con un numero di persone, mai visto prima nel mondo, che abbandonano la poverta', la fame e le malattie”.  Johan Norberg, ricercatore del Cato Institute (pensatoio libertario USA ), sul Wall Street Journal del 17 dicembre ha riportato, oltre alla conclusione citata, non equivocabile, altri numeri, cioe' fatti, che contraddicono la lettura negativa e catastrofista sul destino dell'umanita', che e' quella politicamente corretta. Per la Banca Mondiale, dicevamo, il tasso globale della “poverta' estrema” si e' dimezzato, dal 18,2% del 2008 all'8,6% del 2018. L'anno scorso il World Data Lab ha calcolato che per la prima volta nella storia piu' della meta' della popolazione mondiale puo' essere considerata “classe media”.  L'accesso all'acqua, all'eliminazione organizzata dei rifiuti, alle cure sanitarie e ai vaccini non e' mai stato migliore. Dal 2007 al 2017 la incidenza della malaria in Africa e' calata del 60% circa, e le terapie anti Aids hanno piu' che dimezzato i morti. Le aspettative globali di vita sono aumentate di oltre tre anni negli ultimi dieci, soprattutto grazie alla prevenzione della mortalita' infantile. Secondo l'ONU, la mortalita' globale per i bambini sotto i 5 anni e' scesa dal 5,6% nel 2008 al 3,9% nel 2018. Dal 1950, per allargare la prospettiva del progresso, il Ciad ha ridotto la mortalita' infantile del 56%, ed e' la peggiore percentuale di miglioramento sulla Terra. La Corea del Sud l'ha ridotta del 98%, quasi eliminando il fenomeno.  E l'ambiente? Da qualche tempo i Paesi sviluppati stanno provocando minore inquinamento. Secondo Our World in Data, dal 2007 al 2017, le morti causate dall'inquinamento dell'aria sono calate di un quinto a livello globale, e di un quarto in Cina. I paesi ricchi usano meno alluminio, rame, nickel, acciaio, pietre, cemento, sabbia, legno, carta, fertilizzanti, terreni per le coltivazioni, come ha documentato Andrew McAfee nel libro ”More From Less” (Piu' con meno). I consumi di 66 delle 72 risorse naturali sono ora in declino, emerge dal Sondaggio Geologico USA.  “Il riscaldamento globale resta una sfida”, scrive Norberg, ”ma le societa' ricche sono messe meglio nello sviluppare tecnologie pulite e per trattare i problemi connessi ad un clima che cambia”. Le morti causate da disastri collegati al clima si sono ridotte di un terzo tra i periodi 2000-2009 e 2010-2015, a 0,35 per 100mila persone, secondo il Database Internazionale dei Disastri. La riduzione e' del 95% se si prende il 1960 come anno di partenza, e non e' dovuta ad un calo nel numero dei disastri, ma alla migliore capacita' di gestirli.  Il progresso non e' ineluttabile di per se', essendo frutto dell'azione dell'uomo. Quindi puo' essere negato in Venezuela per le politiche socialiste di Chavez-Maduro, e affermarsi nelle societa' aperte e con mercati liberi, dove scienziati, commercianti, innovatori, imprenditori e uomini d'affari sono i protagonisti della crescita.  Lapidaria la conclusione di Norberg, da perfetto libertario: “Autocrati, politici che arraffano, burocrati pignoli fanno male alle societa' e alle economie. Ma il genere umano crea piu' in fretta di quanto costoro possono sperperare, e riparare piu' di quanto possono distruggere. E questo e' motivo di ottimismo”.  di Glauco Maggi 

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