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I primi cento giorni della Rai targata Lei

Tante idee ma pochi progetti veri

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Magari a settembre, con la ripresa della piena attività del consiglio di amministrazione, potrebbe anche riuscire a fare quel grande salto che va inseguendo dal giorno del suo insediamento. Oppure no. Oppure potrebbe restare con l'asta arcuata, senza raggiungere la massima distensione per superare l'asticella.  Perché domare il cavallo di viale Mazzini non è affatto semplice.  E i primi cento giorni da direttore generale hanno insegnato - ma sarebbe meglio dire confermato - a Lorenza Lei che guidare la tv pubblica non è affatto uno scherzo. Certo, lei conosce bene la macchina Rai, molto meglio del suo predecessore. Ma seguire gli eventi stando  accanto al conducente è un conto, avere le chiavi della macchina ottenuta in dotazione è tutt'altra cosa. Prendete il caso Santoro, paradigma assoluto di questi  primi cento giorni da direttore generale della Lei. Michele Chi? Aveva già tentato l'estate scorsa di lasciare la casa madre per affrontare altri lidi, altre scommesse televisive, proponendo all'ex direttore generale, Mauro Masi, un accordo alquanto complesso e oneroso. Masi spese intere giornate nel tentativo di districare la complessa matassa di se e di ma messa insieme da Lucio Presta, manager delle star e procuratore di Santoro. Alla fine Michele Chi? mollò il colpo, avendo capito che il vento non era dalla sua parte. Masi, vista sfumare l'occasione, iniziò ad imbrigliare l'ex conduttore di Annozero, senza però ottenere l'appoggio del consiglio di amministrazione. Appoggio venuto meno soprattutto quando l'ex dg propose il licenziamento di Santoro. E da quel momento in poi che Masi matura l'idea di lasciare la Rai. Alla fine sono usciti da viale Mazzini sia l'uno che l'altro protagonista questa telenovela. Ma il finale di Santoro non è stato scritto dalla Lei, ma dal giornalista. E' lui che ha proposto all'attuale direttore generale l'idea dell'uscita incentivata ,depurata della clausola di “non concorrenza alla Rai”. E lui che ha convinto la Lei a deporre le armi. Ed è stato sempre Santoro a creare la telenovela La7. Ma questa è un'altra storia. Però è  andata così anche con Paolo Ruffini, ex direttore di Rai Tre, e con le nomine approvate in questi mesi.  Insomma il timoniere che segue l'onda, scontentando chi l'ha messa sulla barca.Detto ciò, quel che preme sottolineare nello stilare il bilancio dei primi cento giorni della Lei, è il metodo seguito dal direttore generale. Metodo sintetizzabile nel concetto di quanti si sentono già oltre Berlusconi: assecondare i piani della politica, saldando le cambiali firmate prima dell'insediamento, senza però esporsi troppo. C'è chi vede in questa strategia un punto di arrivo molto semplice: una piccola Rai per una grande Mediaset. O, più semplicemente, una Rai ridotta, priva dei canini con i quali mordeva ai polpacci il governo e la sua maggioranza. La Lei, in buona sostanza, sta tentando di normalizzare la Rai,  volendola riportare ad essere l'amica degli italiani, più che la coscienza del Paese. E se per normalizzare occorre trattare, tanto sulle nomine quanto su chi fa cosa, ben vengano le trattative. Alla faccia del cda che vorrebbe mandare in onda una tv meno altalenante. Perché se è vero che un buon prodotto si fa sommando le voci, è altrettanto vero che troppe voci dissonanti fra loro non fanno un coro, ma una compagnia di saltimbanchi

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