Repubblica e l'attivismo sospetto contro la Rai

Enrico Paoli

“Stiamo approfondendo il tema”.  Correva l’anno del Signore 2011, mese uno dell’era Mario Monti, addì 9 dicembre, quando il ministro allo Sviluppo economico e alle Infrastrutture, Corrado Passera, rispondeva così ai giornalisti che gli chiedevano conto dell’asta per l’assegnazione delle frequenze televisive. Un approfondimento talmente profondo di cui sono sprofondate tutte le tracce. Come spesso accade in questo Paese. Certo, il tema è ancora teoricamente sul tavolo, ma solo teoricamente. Come testimonia il Sole 24 Ore del 20 dicembre scorso, il quotidiano della Confindustria non privo d’interessi rispetto all’argomento,  proponendo un’interessante pezzo, firmato da Marco Mele, in base al quale l’approfondimento di Passera avrebbe compiuto un passo avanti. “Pensiamo di escludere che un’eventuale asta delle frequenze andrebbe deserta. Anzi, potrebbe permettere al governo di raccogliere almeno 1-1,5 miliardi di euro”. Data questa cornice il collega del Sole, dopo alcuni passaggi squisitamente tecnici, propone il ragionamento chiave del problema: “Come si va avanti? Occorrerà un lavoro istruttorio da parte del governo e dell’Agcom per rispondere a tre domande. La prima è “cosa” mettere in gara? La seconda riguarda la modalità della gara e la terza i tempi del suo svolgimento. Il concorso di bellezza conteneva, non dichiarato, il risanamento di un vulnus: restituire a TI Media (la proprietà di La7 ndr) la frequenza sottratta per far approvare da tutte le tv il totale nazionale di 21 reti terrestri”. Tutto Chiaro? Ebbene, da allora ad oggi nulla si è mosso sul fronte dell’asta delle frequenze, mentre il dibattito sulla televisione, in particolare quello che ruota attorno alla Rai, ha fatto registrare un vero e proprio crescendo rossiniano. Da una parte noi di Libero, con la battaglia contro il Canone e il suo aumento ingiustificato visto che ai pensionati è stata congelata la stessa rivalutazione Istat. Dall’altra il quotidiano La Repubblica che ha deciso di dare l’assalto al fortino di viale Mazzini, provando a minare dalle fondamenta l’attuale sistema di governance, tirando la volata a Pd che, non potendo più controllare il cavallo morente,  vuole ammazzarlo definitivamente cavalcando l’idea del commissariamento. Nel mezzo, poi, c’è il Corriere della Sera che punta al cuore del sistema, mirando a pilotare la nomina del prossimo consiglio di amministrazione, con l’evidente intenzione di tirare la volata a Paolo Mieli.  Insomma, ognuno ha il proprio cavallo, o cavillo, da far correre. Ma noi di Libero, e il Corriere in quota parte, stiamo  conducendo una battaglia di libertà, Repubblica sta solo facendo gli interessi del proprio editore, tornato prepotentemente sulla scena, con il dichiarato intento di occupare uno spazio nell’etere televisivo. E dato che La7, almeno ufficialmente, non è in vendita, Carlo De Benedetti potrebbe davvero gettare tutte le fiches sull’asta delle frequenze. Da qui l’interesse all’assetto della Rai e all’asta delle frequenze, seguita con interesse da Repubblica. E con una Rai indebolita l’editore del giornale diretto da Ezio Mauro del settimnale L’Espresso, avrebbe davanti a se una prateria. Fantatelevisione o pessimismo satellitare? Forse né l’uno né l’atro, sano realismo. Come sano lo è quello di Paolo Corsini, presidente di Lettera 22, quando afferma che “è molto singolare la campagna che un grande (per dimensioni) gruppo editoriale italiano (ovvero il gruppo L’Espresso ndr), che fa capo a un editore svizzero, ha intrapreso sulla Rai, ventilando presunte o reali intenzioni del governo di riformare la governance del servizio pubblico radiotelevisivo, ipotizzando addirittura la nomina di un commissario o la privatizzazione dell’azienda”. Che,  in realtà, sono i desideri dell’Ingegnere più che quelli del governo. “Si tratta di un’iniziativa costante e sospetta per vari motivi: in primo luogo in un Paese dove sono a rischio 300mila posti di lavoro, dove il famigerato spread è ancora sopra i 500 punti, dove molte banche sono a rischio default, la Rai non è certo un’emergenza”, afferma Corsini, “il governo Monti è un esecutivo tecnico nato con un preciso mandato, quello di tamponare l'emergenza economica. Ogni altra iniziativa travalicherebbe questo mandato e il voto di fiducia espresso dal Parlamento. In secondo luogo, la governance della Rai è fissata dalla cosiddetta legge Gasparri: una legge approvata dal Parlamento. Si può ben discutere di riforma Rai ma questo compete al Parlamento. Chi scrive di possibili decreti governativi dimostra, a nostro avviso, la sua conclamata ignoranza in diritto costituzionale. Un decreto sulla Rai sarebbe un atto di golpismo, non ricorrendo quelle caratteristiche richieste dalla nostra Carta per il varo di un decreto”. Ecco, e se De Benedetti sognasse il golpe per sistemare i suoi affari? E sì, aveva proprio ragione Lucia Annunziata quando sosteneva che ad ammazzare la Rai sarà la sinistra, non Silvio Berlusconi.