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Attenti ai compagni di strada sulla via di Damasco

Le bandiere delle rivolte arabe sventolano a Montecitorio ma non sono sinonimo di democrazia

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È l'ex presidente dell'Ucoii, l'Unione delle Comunità e delle Organizzazione Islamiche in Italia, Mohamed Nour Dachan, ora nelle vesti di delegato per l'Italia della Coalizione Nazionale di Sostegno alla Rivolta Siriana, a consegnare la bandiera della “nuova Siria” al presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini e al ministro degli Esteri Franco Frattini, che la accettano esibendola. Il bello è che lo scambio è avvenuto venerdì mattina presso la Sala del Mappamondo di Montecitorio, sede istituzionale, durante la conferenza internazionale “Il Futuro della Democrazia. Come promuoverla, come rafforzarla, come difenderla“, promossa dal Partito Democratico Europeo e dalla Alliance of Democrats. Sul regime di Bashar Assad, responsabile dell'uccisione dei manifestanti a Homs e in varie città del Paese arabo in rivolta, pesano i sospetti del tribunale internazionale dell'Onu sul Libano, per aver organizzato e diretto la strage di San Valentino in cui, il 14 febbraio del 2005 a Beirut, persero la vita il premier Rafiq Hariri e numerosi uomini del suo seguito. Che si tratti di un Paese canaglia, come l'avrebbe definito George W. Bush, pochi lo dubitano. Tanto che il capo della diplomazia italiana, ricevendo alla Farnesina Burhan Ghalioun, presidente di turno, e alcuni membri del Consiglio Nazionale Siriano (Cns), che riunisce alcuni gruppi di opposizione al regime di Assad, ha ricordato che l'Italia è stato, nell'agosto scorso, il primo Paese europeo a richiamare per consultazioni il proprio ambasciatore a Damasco. Se l'Unione europea ritiene che Assad abbia perso ogni legittimità e si debba fare da parte, è anche grazie al governo Berlusconi, che auspica per la Siria l'avvio al più presto di una transizione politica verso la democrazia, la non violenza e la massima inclusività delle etnie e confessioni. Frattini si è soffermato sull'importanza dei diritti e dell'inclusione della minoranza cristiana. E Ghalioun si è dichiarato a favore di una «Siria democratica, secolare e aperta a tutte le componenti della società». Ma che la condanna dei crimini della Siria porti a un automatico riconoscimento di chiunque stia nello schieramento dell'opposizione appare come un'ingenuità che, nel dopo-Libia, nel dopo Egitto e nel dopo-Tunisia, si potrebbe evitare. Prima di contribuire a riscrivere le Costituzioni, inserendo la sharia come fonte del diritto, bisognerebbe pensarci su due volte. Almeno nei Paesi che non hanno risorse petrolifere e in cui la principale alternativa alla dittatura consiste nell'egemonia dei Fratelli Musulmani. Magari propagandata proprio da «quell'UCOII che non ha voluto firmare la dichiarazione di intenti della Consulta per l'Islam perché figurava la parola “uguaglianza fra uomo e donna”», come ha avvertito ieri l'on. Souad Sbai alla conferenza. 

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