Troppi litigi: la Lega vuole richiamare i militanti che si scannano su Facebook e Twitter

Matteo Pandini

Non se n’è parlato nelle riunioni ufficiali, anche perché l’attenzione della Lega è ovviamente catalizzata dall’inchiesta su Davide Boni. Però, prima della grana giudiziaria, in via Bellerio s’era ragionato su un’altra faccenda quantomeno curiosa. Parliamo dei social network, che in Lombardia Renzo Bossi e colleghi vorrebbero vietare ai dipendenti regionali. Nel Carroccio c’è chi pensa di equiparare i post su Facebook o Twitter a vere e proprie dichiarazioni pubbliche. Così da “punire” o quantomeno bacchettare militanti o dirigenti troppo chiacchieroni, soprattutto nei dibattiti sui litigi interni. Tanto per fare esempi concreti, all’indomani del voto sull’arresto per Nicola Cosentino, Roberto Maroni e Marco Reguzzoni avevano discusso proprio su Facebook. Mettendo in piazza i dissidi. E dopo la manifestazione della Lega a Monza, sabato scorso, alcuni esponenti del cerchio magico avevano accusato i fan di Bobo di aver boicottato il corteo. Sono spuntati anche dei gruppi a favore o contro Flavio Tosi, il sindaco di Verona che sta dividendo i militanti per il desiderio di schierare  - alle prossime Amministrative – una sua lista da affiancare a quella della Lega. Dibattiti così aspri da far venire voglia a qualche dirigente di imporre una sorta di altolà. A proposito di bavagli lumbard, veri o presunti. Su la Padania dell’8 marzo il direttore Stefania Piazzo se l’è presa con il Sussidiario e Repubblica colpevoli, a suo dire, di aver accusato il giornale leghista di censurare la notizia dell’indagine su Boni, relegata a pagina 6 e senza richiami in prima. Malignità, assicura il direttore nell’editoriale titolato “chiederemo a voi come si fa un giornale libero”. D’altronde, si domanda la Piazzo, “la libertà di scrivere e decidere cosa pubblicare è presunta o vera per i pubblici ministeri e i sacerdoti della stampa?”.