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«Settant'anni e non sentirli: sono ancora in forma, anche se quasi cieco»

Era il protagonista dello spot dell'Olio Cuore e saltava la staccionata. «Cinque anni fa hanno sbagliato a curarmi un glaucoma e ci vedo pochissimo, ma recitare mi tiene vivo»

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Nino Castelnuovo - oplà - saltava la staccionata e poi sorrideva, mentre lo slogan dell'Olio Cuore ci faceva invidia dicendo “Quarant'anni e non sentirli”. Pubblicità cult, storia di Carosello e ancora oggi Nino, che di anni ne ha 73, lo ricordiamo soprattutto per questo spot, malgrado una carriera di altissimo livello a teatro e al cinena. Il potere della tv. Castelnuovo è sempre in forma, anche se nella vita ha dovuto affrontare dure battaglie e tanti guai, povertà, tragedie familiari e truffe economiche. La sfida più difficile, però, è quella che sta combattendo adesso, contro una malattia agli occhi che lo ha reso quasi cieco. Ma che non l'ha abbattuto. Nino lotta e recita. E si gode il figlio Lorenzo, che ha appena compiuto 18 anni. Auguri. Buongiorno Nino Castelnuovo, piacere. Ci sediamo qui? «Sì, però mi dia una mano, non vorrei inciampare. Sa, ormai non ci vedo più». Ma come? In che senso? «Sono quasi cieco. Una storia drammatica». Le va di raccontare? «Quarant'anni fa, una mattina d'inverno, mi sembra di vedere del fumo in casa e spalanco le finestre. La mia compagna si stupisce, capisce che qualcosa non va. Andiamo dall'oculista». Diagnosi? «Il medico è preoccupato. “Come mai viene da me solo ora? Lei ha un glaucoma”. Pum, svengo». Poi? «La cura è semplice, gocce di pilocarpina due volte al giorno. E va tutto bene. Finché nel 2005...». Che succede? «L'oculista di fiducia muore. Il nuovo medico sostiene che la pilocarpina è superata, ora ci sono colliri migliori. E me ne prescrive di nuovi». Che non funzionano. «Dopo due giorni mi sveglio completamente cieco. Panico. Ricovero, visite e torno a usare pilocarpina, ma intanto la metà delle cellule del nervo ottico sono morte. Risultato, l'occhio destro non ci vede quasi più, il sinistro pochissimo». Terribile. «La vita ti cambia completamente. Devo essere quasi sempre accompagnato, aiutato. E sono in cura da una psicologa: in queste situazioni è fondamentale non abbattersi. Ci sono volte che mi chiedo: che senso ha vivere così?». Ci sono possibilità di miglioramenti? «Con le cellule staminali. Sono stati fatti esperimenti sui topi con ottimi risultati, sono in lista d'attesa per sperimentarle». Nel frattempo, però, non ha perso la voglia di recitare. «Il lavoro è la mia salvezza, faccio teatro e ora sto girando “Due mamme di troppo”, serie tv per Canale 5. Anche se interpreto piccole parti, il cinema mi fa andare avanti, mi dà entusiasmo e voglia di lottare. Ma non è facile. Sul set rischio di inciampare, ci sono molti problemi. E 5 anni fa...». Cosa le è accaduto? «Mi si sono chiuse tutte le porte, nell'ambiente si diceva che stessi morendo. Ho fatto fatica a far capire che avevo solo qualche problema di vista. E che per il resto sto benissimo». Già, è sempre in forma. Pensando al famoso spot dell'Olio Cuore verrebbe da dire: 70 anni e non sentirli. «Mi mantengo bene. Sull'autobus le signore di una certa età mi fissano, mi osservano. Poi, timidamente, si fanno avanti: “Ma lei è Castelnuovo, quello della pubblicità? Complimenti”». Altre domande ricorrenti? «“Fa ancora qualcosa?”. Perché in Italia, se non ti si vede in tv, è come se non esistessi». Lei è sempre stato ammirato e corteggiato. Facciamo un aggiornamento sulla sua vita privata. «Ho una compagna con cui sto benissimo e mio figlio Lorenzo pochi giorni fa, il 4 marzo, ha compiuto 18 anni. Vivo per lui». L'ha avuto a 55 anni. «Molto tardi. Il mio peggior senso di colpa, però, è che vive con la donna con cui non ho più rapporti. Ma ora è maggiorenne, può scegliere». Castelnuovo, facciamo un salto indietro a quando era lei il bambino. «Nasco a Lecco il 28 ottobre 1936, infanzia difficile. Papà Camillo, fan di Mussolini, va in guerra; mamma Paola viene presa dai partigiani e a  7 anni resto tutto solo a gestire i miei due fratelli e mia sorella». Nino, come mai quello sguardo malinconico? «I maschi sono stati sfortunati. Piero è morto nel '76, aveva 42 anni. Era cardiopatico, è stato aggredito a una festa de L'Unità da quattro balordi. Strozzato. Tino era poliomielitico, con la parte destra del corpo handicappata. È stato travolto da un camion, mentre era in motorino, nel '94. Aveva 51 anni». Torniamo alla sua infanzia. Quando il contatto con il mondo dello spettacolo? «Per guadagnare qualcosa, da bambino, faccio il garzone e conosco un po' tutti. Così mi fanno entrare sempre gratis al cinema e mi appassiono di commedie musicali, il mio idolo è Fred Astaire». E diventa ballerino? «Faccio ginnastica artistica e a 15 anni sono “il meglio tacco di Lecco”, il più bravo nel boogie-woogie». Primi mestieri? «Inizio con i bottoni automatici, poi salumiere. Nel '55 lascio Lecco e mi trasferisco a Milano, dove trovo subito lavoro come rappresentante di libri per l'Einaudi». E il teatro? «Ogni sabato vado a cena con il mio amico Gigi Pistilli in una latteria frequentata dagli studenti del Piccolo Teatro. Mi convince a provarci, mi preparo ed eccomi davanti a Strehler. Dico due frasi e mi manda via. Penso sia stato un disastro, invece mi prendono. Sa perché?». No. «Me lo racconterà lo stesso Strelher un anno dopo: avevo recitato con cadenza dialettale e lui era rimasto colpito dalla mia spregiudicatezza. Amava la sincerità». Inizia facendo il mimo. «Abito con altri tre ragazzi, uno dei quali è Cino Tortorella. Spesso ospitiamo l'attore Giancarlo Cobelli, che sta organizzando uno spettacolo per bambini. Ci mettiamo insieme e nasce “Zurlì il mago del giovedì”, anno 1957». Che è un buon successo in tv. «Mi nota Pietro Germi e mi chiama a Roma per “Un maledetto imbroglio” con Claudia Cardinale». Parliamone. Di lei, naturalmente. «Donna meravigliosa, simpatica, brillante. Mai più conosciuta una bellezza così. Meglio anche di Catherine Deneuve». Con la quale si ritroverà a lavorare, nel 1964, in “Les Parapluies de Cherbourg”, opera musicale di Jacques Demy. «Un boom internazionale e io sono il protagonista maschile, vinciamo la Palma d'oro a Cannes. Ci invitano a Hollywood, siamo i divi del momento, tutti parlano di noi. Però...». Cosa capita? «Chiamo casa e Noris Fiorina detta Princi, la mia compagna, mi dice di essere incinta. Sono lontano, non riusciamo a parlarci con calma. E quando torno, dopo tre mesi e mezzo, scopro che ha abortito. E nel frattempo inizia la mia rovina professionale». Ma come, non la prendono per “I promessi sposi”? «Appunto. Demy sta preparando un secondo musical con un cast micidiale, tra cui Brigitte Bardot. Io sono ancora il protagonista maschile, ma il mio agente vuole convincermi a fare “I promessi sposi”. Dico di no, discuto, spiego che non mi interessa. Ma poi...». Poi? «Ricevo una  telefonata particolare, è il segretario di Andreotti. Dice che non posso rifiutare un ruolo così e bla bla bla. E mi faccio condizionare». Dunque niente musical? «No. Demy, offeso, mi toglie il saluto per tre anni e io chiudo così la mia carriera internazionale». “I promessi sposi”, però, fanno ascolti storici. «Lo capisco il giorno dopo che è andata in onda la prima puntata: scendo come sempre al bar e vengo assalito dai fan, autografi e applausi». Qualche episodio strano? «Alle 5 di mattina, una volta, squilla il telefono: “Signor Castelnuovo? Sono il segretario del Santo Padre”. Penso a uno scherzo: “Va a cagare”. E metto giù. Nel pomeriggio richiama, spiega che Paolo VI ha visto lo sceneggiato e mi vuole incontrare di persona». Accetta? «Udienza speciale, il Papa stringe la mia mano tra le sue, lo guardo e mi emoziono, non capisco cosa stia dicendo. “Castelnuovo, le auguro di essere buono, saggio e per bene come il suo Renzo”. Io, in trance, rispondo: “Altrettanto”. Capito? Auguravo al Papa di essere buono». Mica male. Perché ride? «I giornali ci fotografano e il giorno dopo, casualmente,  mi chiama un funzionario della Rai: “Nino, che vuole fare? Ha preferenze? Scelga lei quello che le piace di più”». Miracolo delle raccomandazioni altolocate... E le donne? Tante proposte? «Tantissime e io, dopo essermi considerato brutto e brufoloso, mi convinco di piacere e mi vedo bello». Dopo “I promessi sposi”, le propongono di girare uno spot. Olio Cuore. «Al provino siamo in tre: io, Elsa Martinelli e un attore italo-francese. Scelgono me e andiamo a registrare al Parco di Monza. All'ora di pranzo sto morendo di fame e per fortuna c'è la pausa, vedo i cestini con il cibo nel prato a fianco e inizio a correre, salto a piedi pari la staccionata che mi divide dai panini e quando atterro sento urlare. È il regista Giuliano Montaldo: “Nino, lo sai rifare?”. “Certo, ho fatto ginnastica artistica per anni. Perché?”». Nooo. Nasce così, casualmente, il balzo che ha fatto la storia, quello dello slogan “Quarant'anni e non sentirli”? «Proprio così, spot durato dal 1977 al 1984». L'ha fatta guadagnare molto? «60 milioni, ma senza percentuale sulle vendite. Fossi stato più furbo sarei diventato miliardario. Ma comunque poi avrei perso tutto perché ero stupido, non capivo, venivo da una famiglia povera». Cosa intende?  «Nel 1981 mi faccio fregare da un consulente finanziario della banca. Inizialmente mi fa guadagnare qualche milione, poi mi convince ad affidargli tutti i miei risparmi e improvvisamente scappa, truffando me e altre dieci persone. Puff, se ne vanno 180 milioni, in quegli anni il valore di un appartamento di 220 metri quadrati ai Parioli. E così da un giorno all'altro mi ritrovo sul lastrico, senza una lira». E che fa? «Riparto da zero, lavoro, faccio sacrifici. Ed esce la capacità di soffrire di quando ero giovane e povero. Rinasco, anche grazie alla vicinanza di qualche amico». A proposito, lei nel mondo dello spettacolo ha lavorato con tutti i più grandi. Qualcuno cui si è legato di più? «Vittorio Gassman, un fratello. La più bella persona di quell'ambiente, colto, intelligente. Avrebbe meritato più successo». Carattere difficile? «Imprevedibile. Sfrontato. Una volta lo invitano in America, c'è un dibattito con tutti i più grandi attori Usa, ci sono De Niro e Redford, Hoffman. Prende il microfono e in inglese perfetto dice: “Voi siete nati con la camicia, perché avete la fortuna che io sono italiano. Fossi nato qui, vi avrei rotto il culo a tutti”». Buona questa. Altre? «Nel '68 a Roma si usava fare serate per intellettuali, di cultura. Quando c'era il meglio del cinema lui passava a metà serata, apriva la porta e diceva: “Siete tutti attori? Ammazza che compagnia de' stronzi!”. Ma le sue feste al mare...». Racconti. «Aveva una casa al Circeo e di  sabato sera organizzava ritrovi con tutti gli amici del cinema. Poi, a sorpresa, si aprivano le porte ed entravano vagonate di mignotte. Magari non si faceva niente, ma c'era da ridere. Quella generazione era una generazione di talenti incredibili. Penso a lui, Walter Chiari, Tognazzi, Sordi. Oggi chi c'è? Chi passerà alla storia?». Gassman è morto il 29 giugno del 2000. Tra poco sono 10 anni. «Mi manca tantissimo. Ho sofferto più per la sua morte che per quella di mio padre. È stato un pezzo della mia vita». Torniamoci, alla sua vita. Lei è sempre stato un bello.  Mai avuto avance omosessuali? «Molte. Nel mondo del cinema, come in ogni ambiente, ci sono molti gay». Di lei, nella prefazione del libro “Verbum dei et verbum gay”, si è alluso a una sua amicizia particolare con il Papa Paolo VI. «Ho fatto causa e ho vinto. Il Pontefice l'ho conosciuto solo in quell'udienza raccontata prima, ai tempi de “I promessi sposi”». Nino, ultime domande veloci. 1) Migliori attori con cui ha lavorato? «Non parlo di Gassman perché sembrerei di parte. Faccio tre nomi: Annie Girardot, Jacques Brel e il mio carissimo amico Tomas Milian». 2) Rapporto con la religione? «Buono. Non amo i preti, ma questo Papa mi piace molto, è intelligentissimo». 3) Paura della morte? «Mi rompe le palle, è ingiusto che ci sia». 4) Rapporto con il sesso? «É stato il più grande condizionamento della mia vita. Mio figlio l'ho concepito solo per un fatto di sesso, sua madre mi ha preso per il sesso». 5) Ricorda la sua prima volta? «Al bordello di Lecco, avevo 15 anni. Lavoravo nel negozio di giocattoli di proprietà della maitresse. Un giorno le ho dovuto portare un documento al casino e mi sono appartato con un angelo biondo». Nino Castelnuovo, ultimissima: a 73 anni ha ancora un sogno? «Vivere il tempo sufficiente per riuscire a vedere mio figlio Lorenzo realizzato in questo mondo. E poi, chissà, mi piacerebbe diventare nonno».

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