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Michele Padovano, dalla Champions con la Juve al carcere: "La vita mi ha tolto tutto". Com'è ridotto oggi

Giulio Bucchi
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Ventuno anni fa è stato uno degli eroi della Juventus campione d'Europa, oggi è un uomo distrutto. Michele Padovano, 50 anni, era in campo all'Olimpico nella finale di Champions League contro l'Ajax, vinta ai rigori. "Segnai, ero sicuro di segnare", ricorda oggi l'attaccante, intervistato da Repubblica. Non poteva sapere che pochi anni dopo la sua vita sarebbe stata stravolta dalla giustizia. "Mi accusarono di avere finanziato un traffico di droga, invece ho solo prestato 40mila euro a un amico d'infanzia che sarà stato pure un delinquente ma resta un amico. Mi aveva detto che gli servivano per un debito, credevo si fosse comprato un cavallo. Sono in attesa di giudizio da undici anni dopo la condanna in primo grado, ho fatto tre mesi di galera, 8 ai domiciliari e 5 con l'obbligo di firma, in cella aspettai 67 giorni il primo interrogatorio: ed è successo a un innocente". Da lì il mondo del calcio lo ha dimenticato: "È come se fossi un lebbroso, gli amici di un tempo neppure mi rispondono al telefono". Il ricordo dell'impresa in Champions non lo tormenta nemmeno. "Non penso quasi mai a quelle notti del '96 contro Real Madrid e Ajax, quando segnai il secondo gol agli spagnoli nei quarti, eliminandoli, e poi la finale a Roma: uno dei rigori lo misi dentro io con Ferrara, Pessotto e Jugovic. Non ci penso perché la vita mi ha tolto tutto, compresi i ricordi più belli. Ma rifarei ogni cosa, anche se sono stato ingenuo e ho conosciuto gli sciacalli". È stato direttore sportivo, ora è senza lavoro. "Quasi tutti mi hanno sbattuto la porta in faccia. Ho chiamato i compagni di un tempo a uno a uno, compresi quelli che oggi fanno gli allenatori e gli opinionisti e con i quali eravamo come fratelli: o non rispondono oppure prendono tempo, dicono di non poter fare niente quando basterebbe una parola". Meglio il mondo del carcere: "Sul campetto in terra battuta, le squadre le facevamo io e Bonny, il mio compagno di cella, finivamo sempre distrutti ma soddisfatti. Col pallone, un paio di marocchini non erano neanche male. In galera ho conosciuto uomini degni di questo nome, mentre nel calcio il più pulito ha la rogna".

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