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La parata dei tromboni che scordano i terremotati

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Il 2 giugno era dedicato alle vittime del sisma, ma sul palco a Roma non ce n'era neanche una. E Napolitano troverà il tempo di andare in Emilia solo il 7 giugno

Giulio Bucchi
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  In segno di sobrietà, ieri la fanfara ha taciuto: la parata del due giugno, che tradizionalmente si svolge ai Fori Imperiali, per solidarietà con i terremotati è stata infatti senza musica né frecce tricolori. In compenso ha parlato il presidente della Repubblica, il quale non ci ha fatto mancare neppure quest'anno una delle  prediche inutili nelle quali si è specializzato. Frasi d'altissimo profilo, talmente alte da risultare lontanissime dai problemi reali con cui si misurano quotidianamente gli italiani: la pensione scarsa, il lavoro perso, i risparmi che rischiano di andare in fumo.  Nonostante siano queste le preoccupazioni delle famiglie, il capo dello Stato nel giorno della nascita della Repubblica ha preferito parlare dell'unità della nazione – che ormai non è minacciata più neanche dalla Lega - e di solidarietà, indicandole come soluzioni di tutti i problemi, in particolare di quelli economici. Dopo le critiche sui costi della parata militare (circa tre milioni per un paio d'ore di esibizione) e le richieste di sospensione dei festeggiamenti, Giorgio Napolitano non ha però voluto dimenticare le vittime del sisma in Emilia, dedicando loro tre o quattro righe del suo intervento. «Sentiamo profondamente il dolore di chi nel terremoto dei giorni scorsi, in Emilia e altrove, ha perduto i propri cari e di chi ha perduto la propria casa», ha detto il presidente. «L'impegno dello Stato e la solidarietà nazionale non mancheranno per assistere le popolazioni che soffrono e per far partire la ricostruzione». Ovviamente non ci permettiamo di dubitare delle parole del capo dello Stato, soprattutto quando dice di sentire profondamente il dolore di chi ha perduto i propri cari e la propria casa. Anche perché, essendoci in Italia la querela facile e l'ancor più facile abitudine di denunciare per vilipendio chiunque si azzardi a criticare un pezzo d'istituzione, non vorremmo incorrere nei rigori della legge. Ciò premesso, ci  sia consentito di segnalare che la vicinanza a chi soffre in genere la si manifesta ai diretti interessati, recandosi di persona nei luoghi del disastro. Dal giorno della prima scossa ad oggi il capo dello Stato non ha però trovato tempo per un viaggio in Emilia e, da quanto risulta, partirà alla volta dei paesi colpiti dal sisma il 7 di giugno, diciassette giorni dopo i primi morti, dieci giorni dopo la scossa che ha fatto altre 17 vittime.  Senza dubbio il capo dello Stato in questi giorni ha avuto molto da fare e dunque non ha potuto percorrere i 400 chilometri che lo separano dall'epicentro del terremoto. Ma quattrocento chilometri  si fanno in quattro ore di macchina e addirittura in un'ora e mezza se si dispone di un elicottero.  Forse il presidente avrebbe potuto rinunciare all'importante presentazione del volume dallo speranzoso titolo  «Giovani senza futuro» che lo ha impegnato il 28 di maggio? Oppure alla celebrazione della «Giornata dell'Africa» che lo ha occupato a Palazzo Madama il 25 maggio? O, ancora, all'inaugurazione della fondamentale e attualissima mostra dedicata a «Cavour e l'agricoltura»? Certo ci sarà un motivo se il 21 maggio ha ritenuto di intervenire al convegno di presentazione del Manifesto per il Sud  nella crescita dell'Italia e ha posticipato di occuparsi della crescita dell'Emilia. Così come avrà buone ragioni per aver ricevuto l'amministratore delegato di Sky invece che il titolare di una di quelle imprese emiliane che sono state spazzate via in un amen dalle scosse della terra. Come abbiamo detto, noi non vogliamo mancare di rispetto al capo dello Stato, per giunta non lo vogliamo fare nel giorno in cui egli ci ha invitato all'unità e alla solidarietà, argomenti che riteniamo buoni per tutte le stagioni, figurarsi per la nostra. Fatta la debita e giuridicamente inappuntabile premessa, ci permettiamo però di dire che dopo aver visto le facce truci delle istituzioni schierate sul palco del due giugno senza che fra loro vi fosse un rappresentante di quei terremotati, le proteste e le lamentele di questi ultimi, che si sentono abbandonati dallo Stato, non ci paiono del tutto ingiustificate. Le parole del capo dello Stato, come detto, sono alte, anzi altissime. Ma quando ci si deve rimettere in piedi e ricostruire una vita, una casa e un'attività, le parole non bastano, soprattutto quando sono distanti. Serve ben altro che una predica inutile pronunciata su un palco a quattrocento chilometri di distanza. Serve la presenza dello Stato. Una presenza vera, fatta di aiuti concreti e provvedimenti immediati. Un imprenditore che ha visto la sua azienda distrutta dal terremoto giorni fa non ha chiesto l'elemosina, ma solo che lo Stato gli rimborsasse ciò che gli deve, ovvero i crediti Iva e le fatture arretrate. Ecco, noi quell'imprenditore l'avremmo voluto sul palco, di fianco al capo della Stato, e da Giorgio Napolitano avremmo voluto sentire una frase  sola: lei riavrà i suoi soldi domani. Questo sarebbe stato un bel modo di celebrare la Repubblica. Senza trombe, né tromboni. di Maurizio Belpietro  

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