L'editoriale

A un passo dal disastro, Monti attacca "Libero"

Nicoletta Orlandi Posti

di Maurizio Belpietro Altro che super tecnico attento esclusivamente ai numeri, come ama far credere. Macché robot freddo e privo di sentimenti, come lo fa apparire Maurizio Crozza. Mario Monti in realtà è un vanitosone, un permaloso che compulsa con attenzione quotidiana le pagine dei giornali per vedere cosa scrivono di lui. Il mondo può crollare, l’economia anche, ma ciò che preme al nostro premier è sapere cosa si dice del miglior professore del bigoncio. La prova di questa maniacale attenzione il salvatore della patria l’ha data ieri, durante la conferenza stampa tenuta subito dopo il consiglio dei ministri. Noi ci saremmo aspettati che il capo di un governo nella bufera parlasse di come salvarsi dalla tempesta, dando al Paese la sensazione di avere il controllo della situazione. Lo spread dei titoli di Stato spagnoli è salito fino a quota 600,  tirandosi dietro i buoni del tesoro italiani, che hanno sfondato  il tetto dei 500 punti. La situazione dell’Euro si fa dunque sempre più preoccupante e non pochi cominciano a dubitare della sua tenuta. Le Borse di Milano e Madrid crollano e alla fine il nostro mercato azionario chiude con un meno 4,38 per cento in un solo giorno.  Ma invece di parlare di tutto ciò, invece di dirci che ne è delle misure che avrebbero dovuto metterci in sicurezza rilanciando la crescita economica del Paese, Monti che fa? Si mette a fare le pulci ai giornali che non plaudono alla sue leggi e alle sue illuminate intenzioni. Il premier ieri ne ha avuto per tutti, a cominciare da Panorama, reo di aver dedicato la copertina del numero in edicola al progetto di abolire le festività infrasettimanali per far aumentare il prodotto interno lordo. Non importa che a lanciare l’idea sia stato un uomo del suo governo: il presidente del Consiglio ha dipinto l’articolo come frutto di una costruzione intellettuale.  Ma il settimanale della Mondadori non è stato il solo a finire nel mirino. Dopo è toccato anche a noi di Libero, colpevoli nel nostro caso di aver segnalato che l’approvazione del fiscal compact ci condanna a vent’anni di rigori forzati, cioè di Monti. La sola evocazione del Ventennio non è piaciuta e il professore ha tenuto a precisare che ci sono altri modi per lasciare un segno durevole nel Paese, un’allusione che ci ha fatto preoccupare, perché  quanto ha già fatto finora ci pare un modo per lasciare una traccia indelebile.  Altro giro e altra critica, questa volta nei confronti del Giornale, messo sul banco degli imputati per aver evocato la patrimoniale (cosa che peraltro avevamo fatto anche noi il giorno prima, registrando la crescente popolarità della nuova tassa fra gli esponenti di sinistra e una parte di uomini dell’esecutivo).  Alla fine della sua personale rassegna stampa, il premier ha concluso sostenendo che i sopraccitati articoli erano ad alta emotività, ma a basso tasso di realismo. Frase azzardata, perché mentre ancora il presidente del Consiglio stava parlando, la situazione si è messa al peggio e si è visto che ad avere un basso tasso di realismo non sono i giornali, ma lo stesso capo del governo e i suoi colleghi ai vertici dei principali Paesi europei.  I tentativi di tamponare la voragine apertasi nei conti della Spagna si sono risolti in breve con un fallimento che ora rischia non solo di costare molto di più, ma di travolgere altri membri della Ue, Italia compresa. Come abbiamo scritto ieri, invece di tenersi le mani libere per difendere le nostre posizioni, conservando intatta la possibilità di muovere le leve dell’economia, Monti e il Parlamento hanno consegnato il nostro Paese alla Germania con i polsi legati e d’ora in poi ogni manovra sarà più difficile, perché dovrà essere concordata con i burocrati di Bruxelles.  E così facendo ci hanno condannati a un Ventennio di pena, cioè di Monti  o di altri simil Monti che verranno.  Ma nonostante ciò, il premier pare più sensibile a un titolo di Libero che ai titoli dello Stato che crollano. Anzi, ci raccontano che -  incredibile a dirsi - ci consideri responsabili dell’inasprirsi dello spread, quasi che ogni nostra prima pagina valga più di una retrocessione di Moody’s. Lo vogliamo perciò tranquillizzare. Se solleverà gli occhi dai titoli dei giornali e rivolgerà lo sguardo miope su quel che sta succedendo, forse si renderà conto  di ciò che nel dettaglio Carlo Pelanda spiega a pagina 5. Ossia che è in corso una guerra economica che la Germania ha dichiarato contro l’Italia, allo scopo di indebolirla e condizionarla, spolpandone poi  i resti, cioè le imprese industriali e bancarie che danno del filo da torcere ai tedeschi sui mercati internazionali. È sperare troppo che un premier si occupi dei pericoli concreti che il nostro Paese corre e non di ciò che scrivono i quotidiani? Forse sì. Soprattutto quando ci si trova di fronte a un tecnico che si è invaghito del potere e della sua popolarità. Un tecnico che dovrebbe tagliare la spesa e invece si limita a ritagliare gli articoli di stampa.