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La resa di Monti: crescere spetta a voi

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Sono mesi che il premier parla di "crescita", ma continua a rinviare ogni decisione. E ieri ha gettato la spugna affidandosi a sindacati e aziende: "Le sorti del Paese sono nelle vostre mani"

Giulio Bucchi
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di Maurizio Belpietro È probabile che oggi la maggior parte dei giornali dedichi il titolo più importante alle parole di Mario Monti, il quale ieri si è rivolto alle aziende e ai sindacati spiegando che le sorti del Paese sono nelle loro mani. Un programma che suona un po' come un aiutati che il ciel t'aiuta: originale per un governo tecnico e, direi, soprattutto sorprendente. Forse il presidente del Consiglio intendeva ispirarsi a John Kennedy, che agli americani disse: «Non chiedetevi che cosa può fare l'America per voi, ma cosa potete fare voi per l'America», però la battuta gli deve essere venuta male. Sta di fatto che, se dopo quasi un anno il piano per la crescita si riduce alla constatazione che tocca a imprese e organizzazioni dei lavoratori rimboccarsi le maniche, non c'è da stare allegri. Noi ci saremmo aspettati che ieri il governo mettesse sul tavolo qualche provvedimento concreto o, per lo meno, che indicasse la via da intraprendere per far tornare a correre l'economia del Paese. Invece Monti e i suoi ministri non sono riusciti a tirar fuori uno straccio di idea, limitandosi a ripetere le cose che dicono dal novembre scorso e che ricordiamo qui di seguito per comodità dei lettori. La prima volta che il premier parlò dello sviluppo, dicendo  che il suo governo non sarebbe stato credibile se non ci fosse stato un piano per la crescita, era il 17 novembre, giorno della fiducia al Senato. Passati otto  giorni Monti ritornò sulla questione, annunciando misure di impulso alla crescita in tempi rapidi. In realtà alla velocità della luce arrivarono solo le tasse, che si abbatterono sulle famiglie italiane all'inizio di dicembre, ma verso la fine del mese, mentre il Paese pensava al Natale, il capo dell'esecutivo pensava alla crescita, tanto da dichiarare in Senato che era essenziale un intervento perché l'economia tornasse a crescere. Passate le festività e digerito il panettone, mentre stava ritirando un premio a Parigi, ecco Monti tornare a preoccuparsi dei giovani senza lavoro che soffrono, annunciando che dopo il patto di bilancio sarà possibile «rivolgerci alle politiche per la crescita». Trascorso gennaio, quando già si avvicinava Carnevale e l'ora degli scherzi, intervenendo al Peterson Institute for International Economics di Washington, il presidente del Consiglio rilasciava la seguente dichiarazione: «La crescita in Italia è necessaria, non solo per ridurre il tasso di disoccupazione ma anche per assicurare la sostenibilità dei conti». Che oltreoceano il nostro primo ministro facesse sul serio quando parlava della necessità di far tornare a correre l'economia è testimoniato anche da un altro intervento dello stesso mese, questa volta da Bruxelles: «Adesso sia in Europa che in Italia, senza perdere di vista nemmeno un momento la necessità di tenere al sicuro i conti, è il momento di concentrarsi sulla crescita». Concluso febbraio e arrivati a marzo inoltrato, super Mario superò se stesso, dichiarando alle commissioni Attività produttive e Finanze della Camera che «ora occorre rilanciare la crescita».  Quanto gli stesse a cuore il problema è testimoniato anche dalle frasi dette in conferenza stampa un mese dopo, il 18 aprile, quando a Palazzo Chigi rivelò che «la crescita è la maggior preoccupazione dei cittadini, la parola più invocata dai responsabili di politica economica in Italia ed Europa, ma anche nel G20». E per dare a intendere che faceva sul serio, otto giorni dopo, all'European Business Summit di Bruxelles, avvisò l'Europa, invitandola a «evitare politiche che in modo effimero diano l'impressione di contribuire alla crescita».  Giusto: o si fanno le cose per bene o non si fanno. E che il governo italiano le cose le volesse fare nel migliore dei modi lo prova un'altra frase del bocconiano in prestito alla politica, il quale l'8 maggio  svelò al mondo intero che «l'Italia ha un'agenda per la crescita e fin dal mese di gennaio si è attivata per prendere iniziative poi diffuse ad altri Stati membri»,  aggiungendo che «la crescita in Europa può derivare solo da politiche dell'offerta» e ciò può avvenire «solo con la piena tempestiva realizzazione del mercato unico».  Idee  chiare, che non lasciavano spazio a dubbi. Così chiare da indurre sempre a maggio il capo del nostro governo a rivolgersi al commissario Ue Olli Rehn con uno sbrigativo: «Basta studiare la crescita, è ora di agire». E che Monti stesse per agire lo prova un intervento del 13 giugno, allorquando annunciò alla Camera che «il governo sta lavorando ad un piccolo concentrato di provvedimenti per la crescita, da non chiamare “disegno di legge crescita” ma piuttosto “operazione crescita”». Un chiaro riferimento all'«operazione Valchiria» con cui nel 1944 tentarono di far fuori il capo del terzo Reich e un chiaro avvertimento alla capa del quarto Reich, alla quale infatti venne la tremarella alle gambe. Passata l'estate, ritemprato dal fresco di Sankt Moritz, ecco il premier riavventarsi a corpo nudo sul problema. Ne dà notizia un comunicato di Palazzo Chigi del 31 agosto:  il presidente del Consiglio ha incontrato diversi ministri in diverse riunioni «per approfondire alcuni temi di rilevanza per l'attività di governo di questi giorni con l'obiettivo di definire l'agenda sulla crescita». Nella stessa nota, l'ufficio stampa di Monti informa che il governo ha predisposto un quadro  con nuove iniziative per la crescita e riforme strutturali volte al miglioramento della competitività. Ma come detto, l'ultimo forte richiamo è di ieri, quando il premier si è rivolto a imprese e sindacati annunciando che la crescita è nelle loro mani.  Nelle prossime settimane si attendono altri decisi segnali, soprattutto una crescita di dichiarazioni, in attesa delle quali segnaliamo che il rapporto debito/Pil nel 2012 è salito dal 119,5 al 123,3 per cento, il debito pubblico ha raggiunto quota 2 mila miliardi, i giovani disoccupati sono aumentati al 33 per cento e l'inflazione è arrivata al 3,2 per cento.  A dimostrazione che in Italia qualcosa cresce.   

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