L'editoriale

Monti è un reo confesso: non può restare

Giulio Bucchi

di Maurizio Belpietro Commento sentito ieri mattina: Mario Monti è troppo presuntuoso per ammettere un errore, dunque quando sbaglia cerca di dimostrare che l’abbaglio era necessario per raggiungere l’obiettivo che si è imposto. Manco a farlo apposta, dopo una paio d’ore, il presidente del Consiglio in persona si è incaricato di confermare il tagliente giudizio intervenendo all’inaugurazione del Salone tessile di Milano. Agli imprenditori riuniti per l’occasione, il premier ha detto testualmente: «Io penso che in parte le nostre decisioni abbiano contribuito ad aggravare la situazione congiunturale». Spiegando poi che «solo uno stolto può pensare di incidere su un male strutturale, nato da decenni, senza determinare un aggravamento nel breve periodo». Capito? Per Monti avere un debito pubblico più alto, una tassazione che ha raggiunto livelli folli, un Prodotto interno lordo in caduta libera e più disoccupati di prima era un male necessario, un passaggio obbligato per stare meglio poi.  Da che cosa il Professore tragga la certezza che dopo la caduta dei consumi (meno 3,5 per cento secondo l’ultima rilevazione Istat, che raggiunge il 10 se si parla di beni durevoli, cioè non di generi di prima necessità) l’economia ritornerà a correre, non è dato sapere. Forse nelle frasi rassicuranti che certi medici rivolgono ai propri pazienti per indurli a resistere nonostante l’aggravamento del malato. O forse nelle parole rassicuranti delle mamme, le quali cercano di convincere i figli a ingurgitare una medicina disgustosa. Sta di fatto che il bocconiano dell’anno, per giustificare i dati sempre peggiori del Pil e quelli particolarmente negativi della spesa pubblica delle famiglie, se n’è uscito con una frase che perfino i trombettieri della stampa amica hanno definito choc. Perché, al di là delle giustificazioni circa il prezzo da pagare per avere un risanamento duraturo, appare evidente che, per la prima volta da quando si è insediato, il capo del governo ha ammesso che le cose vanno peggio di prima. Non si tratta ancora di una presa d’atto del fallimento delle misure fin qui adottate, ma diciamo che è un primo passo, una presa di coscienza che nonostante le promesse la cura non funziona. Certo, Mario Monti non ammette che la medicina non è quella giusta. Il suo amor proprio e l’alta concezione che ha di sé non glielo permettono. Per cui il premier si limita a dire che la terapia ha aggravato le condizioni del paziente, ma prima o poi, come nei film a lieto fine, debellerà la malattia. Per quel poco che conosciamo il capo del governo, questo è il massimo che ci si potesse attendere, ma purtroppo è anche il segnale che dimostra quanto siamo messi male. Se il peggioramento della recessione non fosse grave, mai Monti si sarebbe lasciato sfuggire una simile frase. Mai il presidente del Consiglio si sarebbe lasciato scappare quella specie di sfogo seguito alla constatazione che le decisioni del governo hanno contribuito alla recessione. Già, perché il Professore dopo la frase choccante si è rivolto alla platea per parlare dello «spread di produttività» che separa l’Italia dagli altri Paesi europei. «Esigiamo nel nome dell’interesse generale che le imprese e i sindacati riescano a fare qualcosa di più», ha detto agli attoniti imprenditori, come se volesse spogliarsi di ogni responsabilità per la mancata crescita dell’Italia. Aggiungendo, subito dopo, un appello per uno sforzo congiunto delle parti sociali per dimenticare gli interessi particolari. Parole che dimostrano una sola cosa: ovvero che il presidente del Consiglio non sa più che fare per rilanciare la crescita del Paese e si affida a imprese e sindacati, come se le contrapposizione tra le parti fosse la sola causa della mancata ripresa. Purtroppo per lui, e soprattutto per l’Italia, le ragioni per cui il Paese non va sono altre e le ha elencate ieri il professore Luca Ricolfi su La Stampa. Si va dall’alto costo dell’energia (aggravato dal carico di tasse che ogni governo ha varato pur di non tagliare la spesa) all’inefficienza della burocrazia, per finire con la giustizia civile, che grava sulle spalle delle imprese, le quali non possono avere certezza di veder riconosciuti i propri diritti in tempi ragionevoli e certi.  Per risolvere queste cause, non certo originate dal suo governo ma da anni di esecutivi ponziopilateschi, Monti non ha fatto nulla. Nonostante le promesse, nonostante l’ampio mandato e il vantaggio di una classe politica al lumicino, i tecnici non hanno rimosso un solo ostacolo alla crescita. Monti si è limitato a fare i compiti a casa, come desiderava la Merkel. Egli si è limitato ad applicare una ricetta decisa da altri e ora è troppo orgoglioso per ammettere l’errore. Ecco perché, indipendentemente da chi vincerà le elezioni, è importante evitare il bis del Professore. Sarebbe il bis di un fallimento.