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La Luna e il dito

In quest'estate di tecnici nulla ci entusiasma. La politica è scomparsa, restano solo numeri e contabilità. C'è il rischio che da grandi i nostri figli vogliano fare il pareggio di bilancio...

Giulio Bucchi
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di Filippo Facci Non invidio chi deve impostare questo giornale (e tutti gli altri giornali) in un periodo di vuoto come questo. Editorialisti che parlano delle loro ferie, elzeviri sugli insulti che un paio di politici si sono scambiati a distanza, altre paginate su una governativa «fase due» di cui non si sa nulla, e poi caldo e temporali, poco altro: oltre naturalmente ad accadimenti esteri che vengono snobbati perché ritenuti fuori traiettoria. Permane un senso di grettezza. Ebbene: è come se stavolta ci fosse qualcosa di diverso, qualcosa che oltrepassa il consueto vuoto post-vacanze. C'è la crisi, ma per davvero: una crisi che abbruttisce dentro e che asciuga ogni velleità, ogni idea di futuro che non sia un angoscioso confronto col presente. E sui giornali si percepisce. L'Europa dei tecnici è anche questo: una perfetta assenza di comunicazione e di comunicativa, ricette svuotate di ideologia ma anche di «idee» (le avremmo chiamate «politica», un tempo) che ci ammaliano come può farlo un'equazione di secondo grado. Tempo fa ci si lagnava perché i bambini, ormai, aspiravano a fare i calciatori anche per via dei guadagni: ora è peggio, c'è il rischio che da grandi vogliano fare il pareggio di bilancio o abbattere lo spread. C'è il rischio che chiedano, a proposito di quel tizio che è arrivato per primo sulla Luna,  Armstrong, quanto guadagni un astronauta.

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