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Il nostalgico Gianfranco ritorna di destra. Per mezza giornata

Teme di restare isolato. Torna a casa sua e annuncia il sostegno al semipresidenzialismo alla francese

Andrea Tempestini
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Coerenza, forse. Timore di rimanere isolato, più probabilmente. Così Gianfranco Fini torna a casa per un giorno e dà il suo sostegno al semi presidenzialismo alla francese, proposto dal Popolo della libertà. «Fli sosterrà convintamente gli emendamenti presentati al Senato dal Pdl», annuncia Italo Bocchino. È l'ultima incisione sulla tomba del terzo polo, dal momento che Pier Ferdinando Casini ha tutt'altra posizione: «Dubito che sia una cosa seria», dice il leader centrista. E, anche se lo fosse, la proposta azzurra arriva troppo tardi, non c'è più tempo in questa legislatura (entrata nel quarto dei suoi cinque anni) per una riforma costituzionale. Invece c'è, batte il pugno Angelino Alfano presentando gli emendamenti a Palazzo Madama. Ma bisogna spicciarsi: «Se entro il 30 giugno il pacchetto non esce dal Senato le riforme istituzionali non passano più, con o senza presidenzialismo». Il “pacchetto” è quell'insieme di modifiche alla Carta, studiate dai saggi di Pdl, Pd e terzo polo, che contempla: riduzione dei parlamentari, fine del bipolarismo perfetto e più poteri al presidente del Consiglio. I berluscones vogliono vitaminizzare quest'ultima parte, con l'elezione diretta, non del capo del governo, ma del presidente della Repubblica. Che, rispetto agli attuali, acquista  alcuni nuovi poteri sul modello dell'assetto istituzionale francese. Come la facoltà di presiedere il consiglio dei ministri e un rapporto più “politico” con l'esecutivo.  Sul piatto, per invitare il Pd a dialogare, il Pdl mette la riforma della legge elettorale con doppio turno, formula che, dove applicata  in Italia, avvantaggia spesso e volentieri la sinistra. Bersani? È perplesso, ma non ha detto ancora il suo no definitivo.  Il capogruppo democratico Anna Finocchiano già chiude la porta, invece. In realtà la vecchia maggioranza Pdl-Lega avrebbe ancora i voti, perlomeno al Senato, per approvare la riforma presidenziale da sola. Sulla carta sono 162 i favorevoli, ma il Carroccio spegne ogni entusiasmo e fa capire che, senza il federalismo, a loro il presidenzialismo non interessa. Il momento della verità arriverà presto, già oggi in Senato si inizia a esaminare il testo delle riforme in aula. «Vediamo chi sono i veri riformatori e chi è per la conservazione dello status quo», lancia la sfida Alfano.  di Salvatore Dama

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