Cerca
Cerca
+

Paolo Becchi: "Con il coronavirus si è rinunciato allo Stato libero e liberale"

Paolo Becchi
  • a
  • a
  • a

In Italia è in vigore lo «stato di eccezione», introdotto a colpi di decreti amministrativi del capo del governo, il che dal punto di vista giuridico significa una vera e propria sospensione del diritto e, con esso, dei diritti fondamentali previsti in Costituzione. Decreti non emanati dal presidente della Repubblica e non sottoposti a conversione in legge e dunque sottratti all' esame parlamentare.

Lo Stato costituzionale di diritto si sta trasformando tendenzialmente in Stato di polizia e tutto questo accade nel silenzio quasi totale. «Fate presto» e «fate come in Cina», ne va della vita. E di fronte alla vita persino un regime totalitario diventa un modello da seguire.
Ma non eravamo una democrazia liberale? Non ci siamo beati per decenni della nostra magnifica «cultura dei diritti», di cui nel giro di ventiquattro ore ci siamo sbarazzati? E a causa di cosa, esattamente?

L' unico fatto che ha giustificato tutto questo è un dato relativo all' organizzazione sanitaria: non ci sono, si dice, abbastanza posti letto in terapia intensiva se il numero dei malati dovesse aumentare. Non si dice perché manchino i posti letto.
Questo è irrilevante. La domanda però è: questo fatto rende legittima la sospensione di libertà e diritti di cui, dal secondo dopoguerra, non abbiamo fatto che ripetere quanto fossero «inalienabili» e «fondamentali»?

La risposta è: sì, certamente. Perché la necessità, l' emergenza, lo esigono. Il diritto è debole di fronte alla forza naturale della necessità. Ma chi decide quando si è in presenza o meno di una situazione di «emergenza»? I virologi? Sono i medici che decidono quando i nostri diritti possono o devono essere sospesi? O è il governo? Ma, anche in tal caso, occorre chiedersi: cosa significa verificare se una tale sospensione dei diritti sia realmente giustificata dall' esistenza di una «emergenza», sia proporzionata all' esistenza di quella «necessità»? A chi spetta dire se questa «emergenza» sia tale da giustificare decisioni estreme? Ridotto all' osso: emergenza reale o costruzione di uno stato di emergenza? I morti. Li contiamo tutte le sere. Quanti siano i deceduti solo a causa del virus questo però nessuno lo dice. Che ogni anno circa 8000 persone muoiano per l' influenza stagionale anche su questo è meglio sorvolare.

Le questioni aperte valgono fin dalle vecchie proclamazioni dello «stato d' assedio», della martial law, tipiche dei casi di guerra. Ma ciò che c' è di nuovo, oggi, è il modo in cui hanno reagito le istituzioni e i cittadini.
Privo di anticorpi il popolo si affida ciecamente ad un governo che alimentando uno stato di panico collettivo fa crescere il bisogno di sicurezza e si presenta come l' unico in grado di soddisfarlo con misure via via sempre più restrittive. E il popolo alla fine accetta tutto. Ecco la tenuta della nostra gloriosa democrazia: sono bastati 8.000 contagi e la paranoia per la propria pelle alimentata in modo ossessivo dai media, a convincere gli italiani a buttare nel cesso, in un pomeriggio, tutti i loro «diritti fondamentali».

Non un solo costituzionalista, non un solo politico della sinistra dei diritti, non un solo intellettuale, che abbia sollevato qualche dubbio. E già, diamine Salvini è all' opposizione, almeno queste cose le avesse fatte lui, allora sì che sarebbe scoppiato il finimondo.
«servitù volontaria» Ora che succederà? Tempo una settimana, avremo l' esercito a distribuirci i viveri nelle nostre case, in cui saremo stati costretti a rintanarci? E diciamolo pure, non sarà che in fondo siamo felici di questa «servitù volontaria» perché tutto questo ci dà sicurezza, la sicurezza di stare per qualche settimana sul divano di casa, e forse è questo il diritto che abbiamo sempre sognato di ricevere dai nostri governanti. Non appena la situazione migliorerà Conte, il nostro venerato Xi Jinping, si prenderà tutti i meriti per i suoi provvedimenti eccezionali che hanno salvato il Paese e il suo governo potrà tirare a campare a lungo. Non conta se abbia agito rispettando le regole perché siamo in stato di eccezione e nell' eccezione conta solo il successo o il fallimento. E il successo contro il virus è garantito. Ci saranno certo problemi economici, ma sarà sufficiente che Conte in autunno chiami Draghi al suo fianco e il gioco è fatto. Poi, tra qualche anno, il nostro salvatore verrà nominato presidente della Repubblica.

E intanto? Intanto si potrà passare da una emergenza all' altra, da quella sanitaria a quella economica, e così l' eccezione che genera eccezione diventa la regola, l' emergenza che genera nuove emergenze produce normalità. Per poco. Finito questo ciclo ricomincerà l' emergenza emigrazione.
E poi? Poi il crollo di un ponte o della borsa. E poi? Poi una alluvione o un terremoto. E poi? Poi il terrorismo. E poi? Poi si ricomincia tutto da capo, senza fine. Una qualunque emergenza ci sarà sempre e se non ci sarà bisognerà inventarla. Niente però sarà come prima. Resterà l' idea che in Italia da un giorno all' altro si può sospendere qualsiasi diritto: è sufficiente gettare nel panico una intera popolazione per controllarla come si vuole. Se i nostri diritti fondamentali sono limitabili in massimo grado col consenso di tutti per un problema di sanità pubblica, perché questo non dovrebbe valere anche in altri casi? Abbiamo chiuso un intero Paese in casa, ma abbiamo al contempo aperto una porta sul vuoto. Diventeremo immuni al virus, ma abbiamo infettato la democrazia.

Dai blog