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Coronavirus, l'amara verità di Paolo Becchi: "La differenza tra uomini e animali, perché non possiamo crepare così”

Paolo Becchi
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 La vita è una lotta costante per continuare a vivere che tuttavia si conclude con la sconfitta finale. Sempre. Vale per tutte le forme di vita anche per i virus, che sono vita invisibile, anche se generatrice di morte, vita che in quanto tale non vuole morire, ma che non può evitare prima o poi di morire. Solo l' uomo tra i viventi tuttavia piange i propri morti, li seppellisce e li ricorda. È così da quando esiste l' umanità, una costante antropologica, un segno della nostra condizione umana. «L' umanità ebbe incominciamento dall' humare, seppellire», scriveva Giambattista Vico. La morte di per sé non è il male, anzi se ci pensate bene è una benedizione. La "vita eterna" non può essere terrena, perché non ci sarebbero generazioni che si susseguono nel tempo. La natalità è l' altra faccia della mortalità. Non c' è vita senza morte, per questo il morire dei vecchi fa posto alla vita dei giovani. Ed è abbastanza logico presumere che alla "mortalità" di questi giorni seguirà la "natalità" nei prossimi mesi. Non è un ragionamento cinico, e neppure una forma di darwinismo sociale. È semplicemente la "Natur der Sache", la "natura della cosa". Come ha sostenuto un grande filosofo del Novecento, Hans Jonas, «il cominciare sempre di nuovo può avvenire solo al prezzo di un finire sempre ripetuto».

 

 

 

MARTIN HEIDEGGER
Ma allora da dove scaturisce quel senso di peso, di paura, di angoscia, che proviamo, in particolare in questi giorni, nei confronti della morte?
Il peso della mortalità deriva dal fatto che l' uomo, anche se spesso cerca di rimuovere il pensiero della morte - il "si muore", il "Man" inautentico di cui parla Martin Heidegger - , sa di dover morire e non cessa di interrogarsi sul senso della vita e della morte, e questo accade proprio in momenti come questi, in cui percepiamo la morte come vicina, "posso morire". Questo interrogarsi sulla morte vuol dire che l' uomo non si accontenta di vivere, non si accontenta della "nuda vita" biologicamente intesa. Ciò che lo distingue dall' animale non è la vita, e neppure la morte, ma la tomba. La tomba?
Sì, la tomba. Nessun animale seppellisce un altro animale, e sulla tomba gli umani con diversi riti funerari piangono i loro morti e li ricordano. Certo, non solo sulla tomba, ma è sulla tomba che si cristallizza il pensiero della morte e le domande esistenziali che questa pone: da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?


Questi pensieri mi si sono agitati nella mente in questi giorni, in cui ci sentiamo tutti un po' più vulnerabili, perché sentiamo che possiamo morire da un momento all' altro. Questa possibilità permanente della morte è un dato ontologico, ma quello che oggi ci fa più paura sono le condizioni attuali del morire e del morto, condizioni particolarmente pesanti, indicibilmente pesanti. Morire ai tempi del virus, ed essere morti, è certo più terribile che continuare a vivere agli "arresti domiciliari" con il "lasciapassare" per fare la spesa. Non è vita questa, ma la morte oggi è sicuramente peggio.
Camion militari che nella oscurità della notte, quasi di nascosto, in una lunga processione trasferiscono cadaveri - si sarebbe tentati di dire quasi "occultati" - dagli ospedali per portarli in qualche forno crematorio fuori città dal momento che quello locale evidentemente non basta più. Queste immagini mi/ci sono rimaste impresse nella mente. Per proteggere la vita abbiamo di fatto cancellato i morti, non resterà nessuna traccia di loro. Cremati e dispersi. Cenere spersa al vento. Sopravvivere, lottare per la sopravvivenza, diventa l' unico scopo, ma questo scopo è insito nella natura animale. Senza rendercene conto ci stiamo forse animalizzando? L' assenza totale della pietà nei confronti dei defunti - un sentimento umano e religioso, ma che presenta anche profili giuridici - ne costituisce una prova.


IL FUTURO
 morti non hanno neppure il diritto di morire, se lo desiderano con i conforti religiosi, non hanno più diritto ad un funerale, non hanno più diritto ad una sepoltura, i congiunti infatti sono privati del diritto di occuparsi della salma per la sepoltura, tutti cremati, forse anche contro la loro volontà. D' altronde se sono stati sospesi diritti di libertà dei vivi, non dovrebbe sorprendere quello che sta succedendo con i morti. Prevale su tutto la "sicurezza pubblica", tanto sulle nostre libertà quanto sugli affetti più cari, tanto sui vivi quanto sui morti. Il diritto tace di fronte alla "nuda vita".
Anche la morale e la religione tacciono. I moribondi non hanno potuto prendere congedo dai loro parenti, sono morti, nella solitudine, nell' isolamento forzato. E i congiunti non hanno potuto sfiorare neppure con uno sguardo lontano la persona amata che se ne è andata per sempre. Nessun contatto.


Nessun sacramento, nessuna "estrema unzione". E dire che un tempo la Chiesa, con le opportune precauzioni, la prevedeva esplicitamente anche per "i malati contagiosi". Cremazione per tutti. L' unica cosa che oggi conta è "controllare" il virus, contenere il contagio e proteggere la "nuda vita". Sarà molto difficile "elaborare il lutto" in queste condizioni. Sarà molto difficile recuperare il senso di comunità, dopo che abbiamo visto nell' altro concittadino il possibile untore, dopo che persino il sentimento della pietà è stato divorato dal virus.
L' emergenza dovrebbe essere limitata nel tempo. Speriamo nella brevità di questo tempo, perché più a lungo ci si abitua a vivere - e a morire - in condizioni così degradanti, più a lungo sarà difficile ricostruire rapporti intersoggettivi autenticamente umani.

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