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Filippo Facci e il coronavirus: "Contagiati e morti? Perché tenerci a casa non serve a nulla"

Filippo Facci
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Mentre virologi ed epidemiogi ed infettivologi foggiani pasticciano tra di loro - succede quando manca una guida politica - c' è un docente di Biologia all' università di Philadelphia, Enrico Bucci, che sul Corriere della Sera ha sostenuto ciò che Libero ha scritto sin dall' inizio dell' epidemia: che il dato che conta, ancora oggi e in futuro, è quello dei posti di terapia intensiva disponibili, non tanto i dati dei contagiati, non tanto o soltanto quelli dei morti (che spesso dipendono proprio dalle disponibilità delle terapie intensive) bensì appunto i dati che rassicurano circa la tenuta del sistema sanitario, questo anche in vista delle varie riaperture: assieme, naturalmente, a un miglioramento della sorveglianza di nuovi focolai e agli screening delle categorie esposte. Gli altri dati importano meno, anche perché ormai lo sappiamo: sono raccolti confusamente e non permettono campionamenti statistici decenti.

 

 

 

Dati lombardi - Ma intanto accontentiamoci, e vediamo i dati forniti ieri dalla Protezione Civile e dalla Lombardia, la regione-bussola che non a caso ha portato i posti di terapia da 700 a oltre 1500, più un ospedale costruito in dieci giorni: anche se che il fatto che non sia ancora pieno di malati viene recepito - dagli idioti - come un difetto anziché come un segno di miglioramento generale.
I dati di ieri. In Italia sono ricoverate in terapia intensiva 3497 persone: 108 meno di ieri, bene. A Milano sono in terapia intensiva in 1.202, ossia 34 meno dell' altro ieri: bene. In tutto il Paese sono ricoverate con sintomi 28.242 persone, 157 meno di ieri: bene. Sono morte 570 persone: male, anche se relativamente. L' altro ieri erano state 542. In diverse altre nazioni va peggio. In tutto i morti italiani sono 18.849. I guariti sono in tutto 30.455, di cui 1985 solo ieri (l' altro ieri 2099) e quindi siamo nella media, che è una buona media. I malati in più (intesi come meramente positivi) sono 1396 (l' altro ieri 1195) che indicano non un picco, ma un plateau in saliscendi, un altopiano da percorrere per un po' sino al giorno in cui inizierà la lenta discesa. Risultati buoni anche da Milano, che preoccupava: i casi sono passati a 12.748 (+269: l' altro ieri erano stati +440).
Proseguendo: il numero dei tamponi fatti ieri è 53.495 (l' altro ieri erano stati 51.680) ma quello dei tamponi è un dato che viene quasi voglia di non dare, tanto è stato travisato: c' è un' infinità di gente, morta, a cui il tampone non è mai neppure mai stato fatto, tanto era evidente da subito che erano malati. Così pure, soprattutto in Lombardia, hanno fatto bene a non farli ai tanti ipocondriaci che lo pretendevano per un foruncolo fuori posto. Questa perciò la sintesi complessiva: bene le terapie intensive, bene il numero di guariti, calano ancora i ricoverati, stabile l' aumento di malati, al minimo le nuove infezioni rilevate (in proporzione al numero di tamponi) e però un «bene» per i 570 nuovi morti non riusciamo proprio a dirlo.

Cose semplici - Il percorso sembra segnato, ma sul «dopo» ancora ci si divide, e parecchio. Tornando al citato biologo Enrico Bucci, che da Philadelphia ha evidentemente una vista migliore rispetto a Palazzo Chigi, stando agli esperti dovremmo rinchiuderci in casa fino alla scoperta del vaccino (campa cavallo) magari rinchiusi in casette di cristallo con cibo e acqua: la galera. Il rischio non dipenderà tanto dall' età ma dall' esposizione al contagio: è chiaro che se un manager di 85 anni lavora da casa ha un rischio di contagio inferiore di un giovane iperattivo. I test per giudicare le immunità tardano ad arrivare, probabilmente fabbriche e uffici riapriranno con barriere in plexiglass e tracciando chi entra e chi esce.
Sui tracciamenti con le app, in Italia, c' è poco da confidare: violano la privacy e sono invasivi. Per i trasporti pubblici si potrebbe ipotizzare un distanziamento vero, magari con dei contapersone che oltre un certo limite chiudono i tornelli. Ma queste sono cose semplici e sagge che si potrebbero fare: non sono quelle che si faranno.

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