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Vittorio Feltri, la verità su Verdelli pugnalato da Elkann a Repubblica: "Editori e colleghi traditori, è andata così"

Vittorio Feltri
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Anche nei giornali avvengono cose turche, come in tutto il mondo e non solo in Italia, e non sono stupito che Carlo Verdelli, successore di Mario Calabresi alla direzione di la Repubblica sia stato sollevato dall' incarico di direttore, a distanza di un anno o poco più dalla nomina.
Verdelli non è uno sconosciuto, l' ultimo arrivato: nella sua lunga vita professionale si è distinto per abilità e intelligenza. Attenzione: io non ho mai condiviso una riga di quanto egli abbia scritto. Di più, non mi è capitato una dannata volta di essere d' accordo con un suo sospiro. Questo per dire che non sono un suo amico o sodale, semplicemente osservo che la sua defenestrazione è stata insensata. Lo hanno voluto alla guida del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, immagino poiché l' editore, che poi si è pentito di averlo assunto, ne apprezzasse le indubbie capacità. Evidentemente non ha sbagliato Verdelli a fare il Verdelli, ma il padrone che prima lo ha scelto come salvatore della patria e poi lo ha cacciato con lo stile con cui si licenzia una cameriera a ore.

 

 

 

Proprietari della prestigiosa testata (che a me sta sul gozzo) sono gli Agnelli, cioè la Fiat, non dei droghieri arricchiti. Per quale ragione hanno combinato questo assurdo pasticcio? Con certezza non si sa, si possono soltanto fare delle supposizioni, parenti strette delle supposte. Eccone una.
Carlo è stato a capo della Gazzetta dello Sport, tutta milanese, per cui a suo tempo non fu carino con la Juventus, preferendo il Milan e l' Inter, squadre meneghine. Furono i fratelli De Benedetti a chiamarlo al vertice del foglio maneggevole.
Credevano in lui, che però ovviamente stava sullo stomaco a Elkann, parente stretto dei bianconeri. Nel momento in cui questi acquistò Repubblica - già possedendo la Stampa e il Secolo XIX di Genova - si ritrovò tra le palle il sullodato Verdelli e alla prima occasione lo silurò: vendetta, tremenda vendetta. La carta stampata è come la moglie: se le hai fatto le corna, anche se lei le ha fatte a te, prima o poi ti punisce nel peggiore dei modi. Cosicché Carlo, senza colpe, si ritrova in mezzo alla strada piena di virus.
Racconto questa storia affinché si apprenda che guidare qualunque organo di informazione comporta rischi che oscillano tra il ridicolo e il tragico. Allorché fui chiamato a passare dal Corriere alla massima responsabilità dell' Europeo, la redazione organizzò un comitato d' accoglienza che indisse uno sciopero contro il sottoscritto.
Una cosa mai vista: due mesi di astensione.

 

 

Si consoli Verdelli. Non ebbi la solidarietà di nessuno. Peggio degli editori esistono soltanto i colleghi. Nel giro di due anni condussi - con l' aiuto di Sanculo - il settimanale da 79 mila copie a 136 mila. Fui in seguito chiamato a menare il torrone all' Indipendente che era in via di estinzione. Pure lì fui accolto come uno stupratore, il che mi succede ancora regolarmente, eppure portai trionfalmente la tiratura da 16 mila copie a 126 mila. Poi me ne andai al Giornale orfano di Montanelli e lo trascinai da 120 mila copie a 256. Il mio assistente fu di nuovo Sanculo.
Tuttavia, non c' è un cane che mi riconosca almeno la fortuna. E ora sono ancora qui a combattere, a 77 anni, contro i pregiudizi e le invidie. Per offendermi affermano che sono un ricco antimeridionale. Non me la prendo. Il mio sogno è dimettermi dall' ordine dei pennini. Ti ho narrato, Verdelli, le mie tribolazioni per rincuorarti. Non ti deprimere: sei bravo. Sfrutta la tua maestria e manda tutti al diavolo. In particolare redattori ed editori.

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