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Pietro Senaldi e la Fase 2: "Conte e la task force di Colao messi nel sacco da Zaia e i governatori"

Pietro Senaldi
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E meno male che ci stanno ammorbando da mesi con il fatto che è arrivata l' era della competenza al potere.
Il Covid-19 sembrava destinato a spazzare la politica.
Abbiamo accolto strombazzando 18 commissioni di super esperti, disputando animatamente su quanti di essi dovessero essere uomini e quante donne. Supermanager, filosofi, medici, psicologi, economisti da aula universitaria: il governo ha avuto a disposizione quasi un migliaio di cervelloni/e cooptati sulla base dei loro supposti neuroni, oltre ad altrettanti parlamentari, tra i quali almeno una cinquantina dotati d' intelletto ci saranno pure. Ebbene, adesso che stiamo per riaprire e abbiamo sostituito lo slogan «andrà tutto bene» con un più realistico «io speriamo che me la cavo», siamo assaliti dal sospetto che questi commissari non siano serviti a nulla; neppure a fare da parafulmine a Conte e al governo, che sono i destinatari unici del malcontento popolare. D' altronde, siccome tutti gli incarichi erano a costo zero, zero gli illustri incaricati hanno prodotto; e questo dovrebbe servire da lezione a grillini e sinistra: senza profitto, non ci sono risultati.

 

 

 

Tutti e tutte sul carrozzone - A Boldrini e compagne non conveniva battagliare per far salire più donne possibili su questi inutili carrozzoni; non fossero affamate di poltrone e visibilità, avrebbero fatto meglio a rimanerne fuori per poi dire che gli uomini non sanno fare nulla. Invece ora devono condividere il fallimento di Colao e tanti altri.
Prendiamo l' ex manager Vodafone perché è il più famoso, ma la critica è estendibile a qualsiasi altro commissario. Lui, come aggravante, ha però il fatto di aver preteso di risolvere i problemi dell' Italia in emergenza restandosene a Londra, dove vive da oltre un decennio. Anche solo in questa scelta era implicito il fallimento. Nelle speranze di tutti avrebbe dovuto commissariare Conte, invece ha perso la partita contro un avversario facile-facile.
Per fortuna il Paese non si è affidato all' irresolutezza di questi sapientoni. Perfino il premier e il governo hanno capito che dalle commissioni non avrebbero cavato un ragno dal buco e, incapaci di prendere in mano la situazione, hanno scaricato la patata bollente sulle Regioni, che non ambiscono ad altro se non a gestire autonomamente la ripartenza.
I governatori, di destra e di sinistra, sono i soli che nell' emergenza Covid-19 hanno mantenuto la testa sulle spalle, non hanno fatto politica e hanno provato a fare l' interesse dei cittadini. Per difenderli, hanno dovuto combattere il governo e i suoi esperti, che hanno cercato di sabotare prima la guerra al virus e poi le riaperture, scaricando sugli amministratori locali ogni responsabilità e colpa e puntando a dividerli.

Caporetto Dem - Quello che ne è uscito meglio è il veneto Zaia, che non a caso è il presidente con il profilo politico meno accentuato, mentre per la stessa ragione il peggiore nel gradimento dei propri cittadini è il laziale Zingaretti, al tempo segretario e vittima del Pd. La pandemia infatti è stata la Caporetto dei Dem. I ministri sono spariti, surclassati dai governatori Bonaccini, Emiliano e De Luca.
Adesso i governatori in scadenza, come Zaia, De Luca, e il ligure Toti, vorrebbero portare le loro Regioni al voto, per raccogliere il premio al loro buon governo, ma Palazzo Chigi frena, per non cedere altre fette di potere ai territori. Resistenza vana. Di fronte a super commissari inutili e un esecutivo dal quale, ventiquattr' ore prima della riapertura, si attende ancora il testo del provvedimento e che, cinque giorni dopo averlo illustrato in conferenza stampa, ancora non ha messo nero su bianco il decreto Rilancio, è naturale che Regioni e governatori facciano la parte del gigante.
A Roma dispiace ammetterlo, ma la pandemia è stata uno spot straordinario per l' autonomia.
 

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