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Coronavirus, Francesco Giorgino: "La morte del ceto medio. Serve un'altra politica"

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Francesco Giorgino, nel suo editoriale sulla Gazzetta del Mezzogiorno, fa una analisi sulla crisi in cui versa la classe media  durante l'emergenza coronavirus. Una crisi finanziaria ed economica cominciata nel 2008 con la proletarizzazione di liberi professionisti, commercianti, artigiani, più in generale di partite Iva. Una condizione che con la pandemia rischia di aggravarsi. All'emergenza sanitaria, infatti, si sta affiancando giorno dopo giorno anche quella socio-economica. Giorgino prende in esame i dati Istat relativi al quarto trimestre 2019, dunque in periodo pre-Covid. La popolazione di occupati a gennaio 2020 era di più di 23 milioni di italiani su un totale di 60 milioni (1140% circa). Di questi connazionali, 18 milioni circa erano i lavoratori dipendenti, da suddividere tra lavoratori del privato e del pubblico (quasi 15 milioni i primi e oltre 3 milioni i secondi), mentre 5,3 milioni erano quelli indipendenti. Gli inattivi in età lavorativa (tra i 15e i 64 anni) che non lavorano perché studiano, perché in pensione o perché preferiscono occuparsi della casa erano circa 13 milioni. I disoccupati (tra i 15 e i 74 anni), in cerca di lavoro, erano circa 2,5 milioni. 

 

 

Oggi, secondo Confesercenti il 72% delle imprese ha riaperto, ma due italiani su tre non hanno ripreso a fare acquisti perché non dispongono di risorse sufficienti. Un milione di italiani non ha ancora ricevuto i 600 euro di bonus previsto per la categoria degli autonomi e tre milioni di lavoratori del settore privato ancora non hanno potuto beneficiare della cassa integrazione. A questo si aggiungano le difficoltà di accesso alla liquidità per quell'ingenua idea di scaricare sugli amministratori delle banche (senza scudo penale, peraltro) la quasi totalità della responsabilità del farraginoso meccanismo della garanzia statale. Per poter provare ad uscire da questa situazione a rischio di conflitto sociale, scrive il giornalista del Tg1, appare del tutto evidente l'esigenza di un percorso che tenga in equilibrio pubblico e privato, considerando la ricchezza come un'opportunità di crescita del Paese e gli ammortizzatori sociali e le misure assistenziali come un rimedio eccezionale e non la regola. Tutti obiettivi perseguibili solo in presenza di una classe politica disposta a rinunciare alle tentazioni autoreferenziali per trovare soluzioni condivise.

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