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Pietro Senaldi e il "contropotere occulto dei magistrati": senza un Salvini da abbattere, rifiutano di lavorare

Pietro Senaldi
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I giudici sono il terzo potere dello Stato ma hanno un comportamento ambivalente. A livello istituzionale, ambiscono a uscire dal seminato e svolgere un ruolo politico che non gli compete. Lo si sapeva già, ma le intercettazioni dell'ex presidente dei magistrati, Luca Palamara, lo hanno messo nero su bianco. Talvolta le inchieste hanno un fine politico e, come nel caso di Salvini, le toghe incriminano dei leader anche se sanno bene che essi non hanno commesso reati, solo per abbattere quello che ritengono un avversario. Anche nelle decisioni spesso l'applicazione del diritto è messa in secondo piano, conta più l'indirizzo che si vuole imprimere alla società, per esempio in tema di immigrati o su questioni etiche.

 

 

POTERE OCCULTO
Per poter meglio incidere, i vertici dei giudici tendono a promuovere nei tribunali chi garantisce la linea politica. È una sorta di contropotere occulto che ormai, visto il terrore e l'arrendevolezza dei politici, è secondo solo al Quirinale, che però per galateo costituzionale non può aprire la categoria come una scatoletta di tonno, e come invece essa meriterebbe. Quando invece non sono in gioco grandi questioni ma ci si ferma al piccolo cabotaggio, ovverosia al lavoro oscuro e faticoso nei tribunali per far funzionare la macchina della giustizia, i magistrati smettono la toga dell'uomo di potere per indossare quella dell'impiegato pubblico, categoria della quale le toghe sono un sotto insieme. Del travet molti magistrati condividono molte debolezze e meschinità. Non devono aprire questioni sindacali per avere il buono pasto anche se restano a casa perché questo privilegio già ce l'hanno, come quello di non timbrare il cartellino e segnarsi in lavoro da remoto anche quando sono sul campo da tennis. E a questo proposito, l'inefficienza della magistratura è molto indicativa su come il cosiddetto smart working da casa in realtà peggiorerà la produttività anziché migliorarla. Durante la pandemia le aule di giustizia sono rimaste pressoché chiuse e si sono tenute solo il 15% delle udienze civili e il 25 di quelle penali. Per lo più si trattava dei passaggi formali e non decisivi del giudizio. Questo ovviamente ha contribuito ad aumentare l'arretrato già drammatico dei nostri tribunali. La cosa però non turba le toghe, che hanno iniziato la ripresa alla moviola, tant' è che in media si sta celebrando appena il 20% delle udienze che si svolgevano prima dell'emergenza Covid-19. Con grande disappunto degli avvocati i quali, contrariamente alle tesi di Travaglio e compagni, sono indignati e stanno spingendo per fare i processi e terminarli.

RESISTENZA PASSIVA
I giudici invece no. Si suppone che Mattarella non gradisca, ma il presidente è molto riservato e non lascia trapelare, anche se magari a chi è in attesa di giudizio non spiacerebbe un richiamo alle aule da parte del Colle. Così le toghe perpetuano la loro resistenza passiva per non tornare a lavorare. Chi è anziano e ha paura, chi ha i figli e non sa dove metterli, chi è tornato al paesello e non vuole rientrare nelle aree padane del Corona virus. Ognuno ha il proprio alibi, che poi serve relativamente, visto che per le toghe la condanna non arriva mai. È sempre andata così, ma va ancora meglio da quando la magistratura si è trovata un avvocato pronto a offrire il petto, e qualcos' altro, pur di difenderla. Si tratta dell'ineffabile ministro alla Giustizia, Alfonso Bonafede, il solo avvocato italiano a favore dell'abolizione della prescrizione e promotore delle intercettazioni fin nel cesso di casa mediante un perverso sistema dal significativo nome di Trojan. Ora che i peccati della magistratura sono pubblici, spetterà al legale pentastellato varare la riforma capace di rimettere in riga le toghe. Le quali, anziché tremare, si stanno già facendo grasse risate.

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