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Marco Travaglio e il prestito di Stato da 2,5 milioni al Fatto: “Sia benvenuto tra gli assistiti”

Renato Farina
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 Marco Travaglio è uno di noi. È entrato quatto quatto nel club dei beneficati dello Stato come un furbo gattone, fischiettando per non farsi riconoscere. Il suo Fatto quotidiano ha chiesto e ottenuto l'aiuto di Stato, per di più insaccocciato infilandosi nel novero dei bisognosi strozzati dal Covid-19. La società di cui è azionista, la Seif, quotata in borsa, e il cui vero patrimonio è Travaglio stesso, vero capitale umano (e anche un po' disumano) del Fatto, di cui è direttore d'orchestra, primo violino e primissimo trombone, ha approfittato del decreto, ha chiesto e ottenuto un prestito da due milioni e mezzo di euro da Unicredit con garanzia dello Stato al 90 per cento. Cioè, se dovesse andare a gambe all'aria la ditta, nessuno andrebbe a pignorare la sua macchina per scrivere e il suo computer, e neppure gli attrezzi a lui carissimi per il karaoke, ma ce li metteremmo tutti noi contribuenti. Così va il mondo. Dopo essere diventato editore, medio imprenditore italiano, come direbbero i suoi amici e aficionados del Movimento 5 Stelle, Marcolino è diventato un "prenditore". Dicevano che era un mostro, insensibile ai morsi della fame e della sete (di denaro). Alla fine si è abbeverato. Nessuno scandalo. Ma una lezione che possiamo riassumere con un antico slogan pubblicitario: cala Trinchetto, abbassa le alucce Travaglio che ti si spiumano. Marco e i suoi sodali hanno sempre vantato una sorta di immacolata concezione editoriale della loro creatura. Hanno preteso il brevetto della purezza del loro prodotto, avrebbero usato inchiostro candido come la neve se appena appena si fosse potuto leggere, i loro articoli li hanno stampati sulle guance dei lettori come fossero baci di Biancaneve. Nessun inquinamento dovuto a pubblico aiuto, trattato come un furto al popolo a scopo di prostituzione giornalistica. Ah Il Fatto, così diverso, così unico: vergine di quei costumi denunciati come corrotti e ricattatori per cui i quotidiani chiedono e ottengono "provvidenze".

 


LA PAROLA
"Provvidenze". Questa parola a noi è sempre piaciuta, per la sua intensità etica manzoniana. Cosa c'è di più provvidenziale della libera stampa per impedire la cristallizzazione della democrazia in dittatura del pensiero unico? Ci sono beni strategici persino più dell'acciaio. Guai se si lascia che l'unico criterio sia la brutalità del mercato. Potrebbero permettersi di aver voce solo gli imperi finanziari che se ne fregano delle perdite, perché i quotidiani per loro sono armi di guerra, e danno frutti lontano dalle edicole. In tutta Europa tutti gli Stati, in forme varie, e comunque sempre mettendo mano al borsellino, trovano la maniera di impedire che il campo del giornalismo veda l'egemonia di poche piante carnivore nutrite per servire interessi di élite. Cercano di concimare anche le piantine, in nome di un indispensabile pluralismo. Non ho scritto "libertà" che è un concetto esagerato per descrivere il panorama dei nostri sforzi di penna e di parola. Ma siamo lì.

RIPENSAMENTO
Negli anni scorsi, questo tipo di intervento era stato bollato come diabolico da Beppe Grillo. Al suo seguito Vito Crimi, sottosegretario all'editoria per conto dei grillini fino all'anno scorso, arrivò a un millimetro dal cancellare questa voce dal bilancio dello Stato. Ora stiamo assistendo a un ripensamento, grazie al sottosegretario Andrea Martella. E Travaglio? Non si è espresso a parole ma con gli atti, che valgono più di cento dichiarazioni. Addio al respingimento di ogni aiuto, posto come valore fondativo del Fatto, di cui il primo e ottimo direttore Antonio Padellaro rivendicò il successo, passando il cappello di ammiraglio, con queste parole: «Stiamo a galla senza aiuti pubblici». Marco si è fatto prestare il salvagente dallo Stato. Non lo accusiamo di incoerenza, la vita è complicata, e la morale specie dei moralisti è di circostanza, si adatta. Primum vivere, deinde philosophari. Così Travaglio, dopo aver riempito ieri di fieno la cascina, siamo certi che oggi filosofeggerà che l'aiuto alla sua società è tutta un'altra storia, versando acido muriatico su tutti gli altri meno che su un angolo della propria coscienza. Ma sì, ti perdoniamo. Benvenuto nel club. Come matricola che ha sempre respinto l'ipotesi di allungare la zampetta sull'erario, meriteresti un gavettone; ti starebbe bene un assaggio di nonnismo che è la cerimonia di iniziazione dei pivelli. Ma ci basta la constatazione nuda e cruda di questo tuo infilare pudicamente la mano nelle tasche di Pantalone. Come si chiamava quel personaggio che tu citi sempre del film "I soliti ignoti"? Ah sì: Capannelle. Viva le provvidenze e la libertà. 

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