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Vittorio Feltri e la maturità: "Questo governo immaturo doveva abolirla. Teniamoci la Azzolina, sperando che..."

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Vittorio Feltri
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I giornali sono inondati di articoli riguardanti gli esami di maturità che quest' anno, causa virus, avvengono in circostanze inusuali. Studenti e professori distanziati, protetti da mascherine; interrogazioni surreali, insomma una novità assoluta di cui avremmo fatto volentieri a meno. Diciamo francamente che prove scolastiche di questo genere sono inutili, quasi farsesche. I ragazzi che hanno completato gli studi superiori dopo cinque anni di frequenza sono libri aperti per i docenti. I quali sanno perfettamente con quale materiale umano hanno che fare e non necessitano di una ulteriore verifica per decidere se gli allievi siano degni o meno del diploma. Chi è arrivato in fondo al ciclo scolastico si vede che è meritevole di essere licenziato, la sua preparazione deve per forza essere nota agli educatori e, per appurarla, non c'è bisogno della cerimonia finale, che oltre a essere costosa è priva di significato.

 

 

 

Stupisce che mai alcun governo abbia capito quanto sia indispensabile abolire la maturità, che non si conquista in quaranta minuti di risposte a domande degli insegnanti, piuttosto in un quinquennio di approfondimento delle varie materie. Ma stupisce ancora di più che l'esecutivo in carica, profittando della emergenza che stiamo vivendo non abbia compreso che fosse giunto il momento di cancellare la insulsa appendice. Le pagelle si possono compilare consultando tutto il percorso compiuto dai discenti senza il pericolo di sbagliare valutazione. Però in Italia, purtroppo, non si percorre mai la via più agevole e si tengono in piedi tradizioni superate e incomprensibili, e si procede con le riforme soltanto nel caso siano peggiorative dello status quo. Lo Stato è in bolletta marcia eppure incapace di risparmiare anche quando ciò gioverebbe al buon funzionamento delle strutture. Pazienza e teniamoci ancora la ministra Lucia Azzolina nella speranza (vana) che si ravveda e si decida a intervenire. Vorrei trattare in breve pure un secondo argomento su cui si discute da giorni. Mi riferisco alla scarcerazione di Massimo Carminati, condannato tempo fa per una vicenda di mafia a Roma. Costui ha trascorso anni in galera in un regime estremamente punitivo, riservato appunto alla criminalità organizzata, in applicazione del famigerato 41 bis, che impone un trattamento disumano del detenuto: luci accese di giorno e di notte, solitudine assoluta e altre privazioni orribili. Tutto questo nonostante la Cassazione abbia sentenziato che Carminati non era mafioso bensì un semplice corruttore. Di modo che il 41 bis non gli sarebbe toccato. Tra l'altro il periodo di carcerazione era scaduto e, in osservanza della legge, egli ha ottenuto la liberazione. Regolare. E allora cosa c'è da scandalizzarsi? Nulla. E invece gliene rivolgono di tutti i colori, così come se la prendono con i giudici che stavolta si sono comportati correttamente. I manettari o giustizialisti cinici vorrebbero sempre la prigione per chiunque, persino per chi non la merita. È un sintomo di inciviltà. Infine, un fatto personale che non trascuro per puro divertimento. Dulcis in fundo, sed in cauda venenum. Il giornalista Massimo Fini, col quale ho lavorato, mi detesta e questo mi lascia indifferente. Ha scritto un pezzo ieri sul Fatto per rendere noto che è l'ultima volta che si rivolge a me. Era ora. Anche perché Massimo ha l'abitudine di attribuire ai defunti giudizi che fa propri. Prima di vergare organizza una seduta spiritica, raccoglie dai trapassati dichiarazioni inventate da lui stesso, poi le trascrive. In pratica rianima chi non c'è più così non piovono smentite. Morto che parla. Fini più che cieco è bieco.

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