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Lucia Azzolina, Alessandro Giuli durissimo: "La ministra che vive a un metro dalla realtà"

Alessandro Giuli
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 Le scuole italiane riapriranno il 14 di settembre ma la prima e forse l'unica persona che dovrebbe andarci è la ministra (in)competente, Lucia Azzolina, già bocciata coralmente da studenti e genitori e protagonista ieri di una terrificante conferenza stampa al fianco di un imbarazzato Giuseppe Conte. Il messaggio memorabile espettorato da Azzolina è che le scuole, per come le sogna lei, dovranno essere «belle e colorate», «di tutti e di ciascuno»... al punto tale che gli studenti siano «tristi quando giunge il momento di tornare a casa». Una roba da non da non crederci, di fronte alla quale passa perfino in secondo piano il fatto che i luoghi dell'apprendimento siano o meno a prova di Covid-19: un po' di soldi (un altro miliardo) ce li metterà il governo, ma il grosso della responsabilità continuerà a ricadere sugli enti locali e in ogni caso sempre se a fine agosto il Comitato tecnico-scientifico avrà dato parere positivo. Perché al dunque il governo dei giallorossi si affida alla fortuna, alla vanità e alla dittatura commissaria dei medici. Non è una grande notizia, lo sapevamo già perché era stato messo nero su bianco in oltre 50 pagine di linee guida infarcite di obblighi sanitari e psicologismi infantili (parola più gettonata: «serenità»). Ciononostante ieri il premier e la ministra hanno deciso di ricamarci sopra una tardiva e sfibrante sceneggiata di coppia che si è risolta nella supercazzola dell'estate, un enorme e stucchevole campionario di banalità declamate con toni tronfi da figure che si addicono al genere comico.

La commedia, leggera ed elusiva, è andata in onda come sempre a beneficio di telecamere riunificate, a scatola chiusa e con la Azzolina che una volta ancora ha deciso di mortificare le vocali e la logica, la pazienza degli ascoltatori e perfino il senso del pudore di un presidente del Consiglio che ha dovuto fingere interesse per i gorgheggi vacui di una donna in evidente confusione. Il "la", a onor del vero, l'ha offerto lui esordendo con il solito richiamo emotivo - «non abbiamo scelto le chiusure a cuore leggero... la decisione ci ha fatto male...» - ma non senza un raro barlume di autocritica: «La didattica a distanza era una necessità alla quale non eravamo preparati». Ci si sarebbe attesi, se non proprio delle scuse, almeno un minimo di prudenza anche da lei, magari l'ammissione di aver agito in ritardo e sotto il peso delle polemiche innescate nei giorni scorsi con i presidenti di Regione stupefatti da tanta improvvisazione e da uno scaricabarile smentito in forma monolitica. Invece niente. Di là dalle poche e arcinote comunicazioni fattuali (i soldi che verranno dirottati verso gli enti locali per interventi in deroga sull'edilizia scolastica, l'alta percentuale dei quattrini immaginari del Recovery fund da destinare al "capitolo scuola"), Conte si è subito perso nei suoi arabeschi dialettici coniugati al futuro e centrati sul verbo volere: «Vogliamo contrastare la povertà educativa»... «Vogliamo promuovere la competenza digitale», «Vogliamo essere molto ambiziosi e non abbasseremo mai la soglia d'attenzione perché non tolleriamo le classi pollaio». Con questi presupposti, Azzolina si è presa il palcoscenico da par suo e con la profondità di un cartonato scenografico ha infilato le perle a disposizione. Ci ha detto dunque che il mondo della scuola è al centro dei suoi pensieri, che lei «ama» la scuola ed è orgogliosa di averla mantenuta aperta anche i questi giorni (per gli esami di Stato in presenza), che manterrà pulite le aule investendo milioni in prodotti igienizzanti, che garantirà il rispetto delle distanze sociali e gli ingressi scaglionati. Ma soprattutto Azzolina vuole trasformare la calamità della pandemia (e del suo governo a gestire l'emergenza, ma questo non poteva dirlo) nell'opportunità di costruire un nuovo modello per «fare scuola fuori dalla scuola»: nei cinema, nei teatri, nelle biblioteche, negli archivi (?) e al parco «se il clima sarà favorevole». Ovvero cose che già avvengono oppure ripieghi a basso costo e alto tasso di pigrizia immaginativa. 

 

 

 

Se solo la ministra si fosse limitata alla promessa di altre assunzioni (50mila a tempo determinato) e opportuni aumenti di stipendi, avrebbe replicato senza farsi troppo notare uno schema inveterato da generazioni d'inquilini ministeriali. Ha preferito filosofeggiare alla sua maniera, con una formula a metà tra il siparietto comico e l'interludio teatrale. Ma voleva essere serissima e apparire ispirata dal suo fanatismo ottuso, mentre si produceva nella prefigurazione di «nuovi ambienti di apprendimento» su cui investire (corredati da immagini di repertorio con sedie dal design raccapricciante); mentre flautava su un'imprecisata «didattica nuova e più moderna» in arrivo; mentre soffriva «per quelli che hanno sofferto di più, i bambini delle scuole per infanzia e delle primarie». Culmine della recitina da fine anno scolastico, poco prima della visione estatica degli edifici scolastici colorati, quando Azzolina ha assicurato che dal primo di luglio girerà «con amore Regione per Regione, edificio per edificio, perché amo la scuola e lo voglio urlare...». Studiare in silenzio no, a questo non è ancora pronta, se ne riparla a metà settembre. 

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