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Vittorio Feltri smonta il "teorema Davigo": "Che cos'ho imparato dal caso Tortora"

Vittorio Feltri
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Luca Palamara farà un casino infernale nella magistratura. Lo hanno massacrato e lui come minimo si vendicherà raccontando la fava e la rava dei suoi colleghi, non tutti specchiati e limpidi. Ovvio, quando si scoperchia un pentolone pieno di schifezze il cattivo odore si spande dovunque, impossibile fingere di non sentirlo. Non siamo esperti di pandette, ignoriamo i fatti e i misfatti della giustizia se non attraverso certe sentenze che ci hanno impressionato, provocandoci stupore e raccapriccio. Si sa che gli uomini tendono a sbagliare, e i magistrati nell'arte di fallire il bersaglio sono maestri come noi impegnati in mestieri diversi.

Presto comincerà il processo al pm sotto tiro e penso che ne vedremo delle belle e specialmente delle brutte. Aspettiamo con ansia di capire se Palamara sarà elevato a capro espiatorio o se l'intero gregge verrà trascinato in giudizio. Speriamo che i giudici abbiano un soprassalto di onestà e ammettano i loro strafalcioni, avendo brigato per fare carriera, occupare posti importanti e naturalmente guadagnare di più. Non saremo noi a stupirci se emergeranno nel corso degli accertamenti situazioni imbarazzanti o addirittura vergognose. Le toghe costituiscono una categoria privilegiata tuttavia ciò non impedisce loro di comportarsi come altre corporazioni di lavoratori: cioè male.

 

 

Errare humanum est perseverare diabolicum fili mi erra sed culpam tuam semper declara. Cari magistrati, la regola latina vale pure per voi. Se vuoterete il sacco sarete perdonati, altrimenti farete la fine di altri ordini negletti. Personalmente ebbi a seguire il processo Tortora, decenni orsono. Fu una esperienza atroce. Sfogliando gli atti mi resi conto che contenevano innumerevoli vaccate, cioè incongruenze che mettevano in dubbio la serietà dell'impianto accusatorio. Le dichiarazioni dei pentiti non stavano in piedi, i controlli degli investigatori facevano acqua da tutte le parti. Anche uno sprovveduto come me capì di essere di fronte a un pasticcio giudiziario incredibile. Scrissi vari articoli difensivi del presentatore, ma il tribunale in primo grado lo condannò comunque a dieci anni di galera. Una tragedia che uccise Enzo, tanto è vero che dopo l'assoluzione in appello egli morì. Nessuno gli ha chiesto scusa. Casi di tale tipo sono troppo numerosi, cari magistrati. Meno arie, più diligenza. Giudicare gli altri non significa trattarli quale bestiame al macello. Non bisogna dire come fa Piercavillo Davigo, nonostante sia simpatico, che non esistono innocenti ma solo colpevoli che l'hanno fatta franca. Se fosse così vorrebbe dire che l'ha sfangata pure lui. E non credo. 

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